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GENNAIO/TEATRO CARCANO/LA CENA DELLE BELVE/4,5/5
06.06.2020 17:07
BELVE PER PAURA
Roma, 1943. Due ufficiali nazisti vengono ammazzati proprio sotto le finestre di Sofia, che col marito Vittorio ed alcuni amici sta festeggiando il proprio compleanno. Per rappresaglia il comandante della Gestapo decide di prelevare due ostaggi per ogni appartamento del caseggiato. Quando giunge all’appartamento di Sofia l’ufficiale tedesco riconosce in Vittorio il suo libraio di fiducia e, considerata la festa in corso, decide di posporre di due ore la cattura dei due ostaggi, lasciando al gruppo libertà di scegliere chi sarà fatto prigioniero. La paura di finire in Germania o fucilato sotto casa scatena gli istinti animaleschi di difesa della propria pelle in quasi tutti i presenti a quella che è diventata una festa incubo.
La paura che trasforma in bestie padroni di casa e invitati è il nodo attorno al quale si sviluppa l’amara e feroce commedia La cena delle belve (Le repas des fauves) di Vahé Katchà in scena al Carcano fino al 19 gennaio con la regia di Julien Sibre e Virginia Acqua. Gli ottimi adattamento e traduzione di Vincenzo Cerami mettono in rilievo sfumature psicologiche per ogni personaggio.
Scene e costumi e le canzoncine propagate da una radio anni 40 ben collocano temporalmente la vicenda. Piace e convince la proiezione sul fondo di un mix di immagini da cinegiornali dell’epoca e di preziose animazioni a far rivivere le violenze naziste. Forse proprio in merito alle belle e severe animazioni che scorrono frequentemente sullo sfondo mi sento di muovere l’unico piccolo appunto all’intero spettacolo: la mancanza in locandina e sul foglio di sala del nome dell’autore di tale pregevole lavoro.
Il testo è veloce e non conosce impasse drammaturgiche di sorta e scorre con facilità per oltre un’ora e tre quarti in cui si ride amaro. Ma sicuramente lo scopo primario di questa commedia-noir non è quello di strappare la risata a tutti i costi. Tutto è in misura, nulla sopra le righe anche se il testo potrebbe favorire cadute nell’esagerazione nel dipingere i vari personaggi.
A rendere il lavoro interessante è soprattutto il cast degli attori interpreti. Marianella Bargilli dà vita alla padrona di casa festeggiata in precario equilibrio tra la difesa della propria vita e la difficoltà di scegliere le vittime. L’altra donna in scena, la brava Silvia Siravo, dà vita a una concreta Francesca impegnata sul fronte della Resistenza, sicuramente la meno belva, anzi per nulla, e sempre coerente con i propri ideali. Nei personaggi maschili difficile trovare qualcosa di positivo se non, forse e parzialmente, solo in Pietro, l’ufficiale cieco per un scontro con i tedeschi dopo l’8 settembre che è interpretato da un puntuale e talentuoso Alessandro D’Ambrosi. Ruben Rigillo bene interpreta il marito Vittorio, personaggio contorto che si batte per salvare la moglie ma soprattutto vigliaccamente se stesso. Piacciono anche Emanuele Cerman nel ruolo di un professore gay, l’unico col coraggio di offrirsi ostaggio, ma il nobile gesto ha breve vita, e Gianluca Ramazzotti nel ruolo di un dottore filonazista grottescamente pusillanime.
Ralph Palka dà vita al comandante delle SS con grande equilibrio senza trasformarsi in macchietta o cadere nei consueti cliché. Chiude il cast un ottimo Maurizio Donadoni che riesce a dare verità e corpo al personaggio di Vittorio, faccendiere senza il minimo scrupolo, e decisamente la belva più feroce.
Da vedere. (a.r.)