GENNAIO/TEATRO MENOTTI/IL MIO NOME È CAINO/4,5/5

06.06.2020 17:09

QUANDO LE PAROLE SONO PALLOTTOLE

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Il mio nome è Caino, tratto dall’omonimo romanzo di Claudio Fava (Dalai Editore 1997 e Baldini & Castoldi 2014) è tornato in teatro dopo più di quindici anni in un raffinato allestimento curato da Laura Giacobbe. Ci troviamo in una sorta di piano bar in cui un riuscito gioco di ombre “illumina” la figura di un killer di mafia che, come recita il foglio di sala, al comando ha preferito l’amministrazione rigorosa della morte. Elegantissimo in smoking e con farfallino rigorosamente nero Il killer sottolinea nelle prime battute che mafiosi non si diventa, si nasce. Mafioso il nonno che aveva fatto ammazzare una ventina di persone, mafioso il padre, stesso modo di agire del nonno. In una mafia che allarga il proprio raggio d’azione allargando i confini del proprio potere di soprusi e morte si inserisce fin da caruso il personaggio protagonista della pièce quando decide di essere lui a consegnare con l’inganno ai suo carnefici il suo migliore amico Rosario, un fratello, colpevole di uno sgarro che andava punito con la morte. Proprio dall’aver architettato la morte di Rosario deriva il suo soprannome di Caino che si porterà incollato per il resto della vita. Per lui che amministrerà rigorosamente la morte ammazzare un mafioso che ha sgarrato, un giudice, un testimone, un giornalista diventa solo una sorta di esercizio dimostrativo e concreto del suo smisurato orgoglio di essere un perfezionista dell’assassinio. Caino diviene amico stimato e temuto da tutti, non solo dai mafiosi, dai politici che scendono dal Nord perché hanno bisogno di voti, dagli ufficiali dei carabinieri che, di tanto in tanto, hanno bisogno di arrestare qualche pesce piccolo del mondo della droga e via dicendo.

In questa narrazione è assai convincente il formidabile mix di fantasia e realtà che quasi costringe lo spettatore al ruolo scomodo di testimone dell’irresistibile ascesa di Caino e la sua inevitabile improvvisa caduta.

Caino è interpretato da un perfetto Ninni Bruschetta che, dopo aver diretto lo stesso testo nel 2003, veste con bravura i panni del protagonista. Completamente sfrondato da altri personaggi è solo in scena accompagnato al piano da un’assai efficace Cettina Donato che sorregge e spinge Caino/Bruschetta con un intreccio musicale che contamina la musica popolare con quella classica e jazz; una chicca davvero l’esecuzione di My Funny Valentine cantata e sussurrata alla Baker da Bruschetta.

Spettacolo da non perdere in cui il testo di Fava, in prezioso equilibrio tra denuncia e poesia, il sostegno della musica perfettamente eseguita da Cettina Donato e la grande interpretazione di Ninni Bruschetta fa sì che ogni parola non solo sia necessariamente pietra ma soprattutto pallottola che giunge sempre a bersaglio. (a.r.)