JUBOLD
JUBOLD - UN QUASI PROLOGO E UN PROLOGO IN ATTESA D'UN FIGLIO (1985)
UNO/A ...... CHIAMATO/A JUBOLD
(quasi un) Prologo
Penzoloni nell'ombra,
da corno a corno un alone,
s'accampa, s'incentra, deborda e scoppia
dal portacenere usato
la bella immagine, intuita per segni,
d'un cervo sognato, ...
..., "che hanno corna lunghe e palmate
i cervi bianchi ricercati ".
Attenta alla curvatura,
schiva ad ogni riflesso si coniuga
(garanzia/guardia/rifugio)
al tuo gesto, Carla,
di rovistare nella borsa a tracolla.
Ma lì, nel compiere il rabbercio,
serbando (pur con qualche inganno)
l'utile dal disutile,
l'incrina e la frange
(da quasi viva a falsa)
lo sbarbaglio luminello
della tua stella in strass,
che sprizza
(piccola luna-lucciola d'infanzia)
tra le tue dita:
lontana
dal biglietto fuori corso del tram.
Disutile. Tuttavia è serbato
("che costa soldi: il faut le changer")
disperso sul fondo
dove il cuoio s'inghigna e s'ingegna:
è ciarpame biancastro,
presenza di minutaglia o altro,
là, da tempo abbandonata, giace
una pèttina rossa accartocciata, ...
..., e nel presente s'annulla il cervo
lasciando il buco,
l'anomalìa, lo storto.
In altri luoghi
incerti e da questi lontani
uno/a ...... chiamato/a Jubold
s'adagia,
s'adagia,
ci insinua labirinti nella mente.
Non più d'uno sfioro
delle dita rosate sulla spiaggia.
Prologo
Domani di voli
che incandescenti illampino
sopra le nostre incolpevoli teste,
come schioppi, certezze
da questa finestra,
paziente, spio:
attesa d'un qualcosa
(impalparello o altro di tenue)
non ben definito, non ben badato:
un chiacchiericcio d'uso
attorno ad un frappè quasi bevuto.
Sull'orlo ronzano vespe:
chiedere loro
quando verrà Jubold
dalle ciglia dorate.