MEDEA IN ALEPPO

Tragedia in due atti in versi

 
 
 
 

           

ATTO PRIMO
 
PROLOGO  - CORO DEGLI STRAZIATI
(Coro)
 
CORO                       E sentite, qui, questi nostri strazi,
che per altri strazi su si levano,
tra macerie che a mucchi,
densi fumi a colonna…
noi per fumi siamo qui straziati…
 
UN UOMO                E siamo uomini vecchi,
                                   che a stento trascinano gambe e lingue.
 
UNA DONNA          E siamo madri e donne
                                   che a stento trascinano lingue e gambe.
 
CORO                       Per  fumi siamo noi qui straziati,
dicono la vecchiaia
ci porti saggezza:
qui la nostra saggezza
è dispersa nella tetra paura.
 
UN UOMO                Nessuno è così vecchio 
da potersi chiamare  tanto saggio
o dall’essere indenne
dall’avere paura.
 
CORO                       Nutre paure la guerra insolente
                                   e dentro ci prendono e ci rodono.
 
UNA DONNA          Nutre paure la guerra insolente
                                   e siamo piante dai frutti tolti
                                   e private dal seme per altri farne.
 
UN UOMO                I figli che lontani,
 
UNA DONNA          i mariti lontani
 
CORO                       Che per fumi dispersi,
magari sui tetti
morti figli e mariti
 e l’averli tanto amati ci guasta…
 
UN UOMO                … ci ingolfa anche nel banale d’un passo.
 
UNA DONNA          E siamo donne con bambini stanchi.
Stanchi di stare nell'incerto, stanchi...
I nostri bimbi stanchi
qui di avere  paura…
e in molte siamo madri putative
private dalla gioia nostra e cara.
Siamo madri degli altri
dei rimasti in attesa di andare.
 
UN UOMO                Siamo uomini vecchi
seccati nelle voglie dal gran pianto:
nutre paure la guerra insolente
                                   e dentro ci prendono e ci rodono.
I nostri figli spersi,
 i rimasti sui tetti a dar morte,
a ricevere morte
in Aleppo da parente a parente,
qui nel nome e per nome
di poteri che estranei e lontani,
qui dalle nostre terre…
 
CORO                       Spingono a uccidere
e tirano a fatica  in mezzo dio
bestemmiandolo nel sangue agggrumato.
Scrivono e dicono libertà
 
UNO                          Che libertà del cazzo!
 
UNA DONNA          E qui i bimbi atterriti,
il viso smunto dalla gran paura:
e non c’è niente di più devastato
del viso d’un bimbo che abbia paura.
 
CORO                       Alcuni di loro mai hanno visto
la carezza del sorriso paterno,
morti là tra qualche tegola sozza,
i bimbi qui nei ventri materni,
così pregni di sofferenti pianti
Aleppo la colta, Aleppo la morta...
 
(Escono tutti, rimbombi lontani forse l’eco, altrettanto lontana, d’una sirena d’allarme).
 
SCENA PRIMA/LA COMPARSA DI MEDEA
 
(Medea - Medea veste all’occidentale, è bionda o comunque non ha nulla a che vedere con la fisionomia classica del personaggio di Euripide, ha una grossa borsa a tracolla)
 
MEDEA                    Aleppo la colta, Aleppo la morta…
Li ho uditi quegli strazi profondi
venir su tra neri fumi e macerie
Sentiti, tutti, sofferti li avete.
Nutre paure la guerra insolente
                                   e dentro ci prendono e ci rodono.
                                   E io sto qui come in Terra,
in Terra rimandata,
tra vecchi senza forze
e donne senza voglie.
E  io qui sto Medea
con quel gas che ancora qui pressa
ah sentirlo nel naso, nella bocca
fin giù nei polmoni
e le vesti strappate e lordate…
E  io qui sto Medea
a rinnovare dolori e vergogne:
bene conosco il tanto nero amore:
troppo da perdermi là come figlia,
troppo da perdermi come sorella
e per tanto amore, per troppo amore
la gelosia là folle mi fece…
la gran paura qui folle m’ha fatto
Lo vidi e là mi persi…
Li vidi venire di noi incontro
e le vesti strappate, sporche, lorde
li vidi e la mi persi…
con violenza fui presa e giù a calci
mi ritrovai a terra
certo là buona per un forse dopo,
poi rombi di sopra d’aereo
e raffiche ed urla… silenzio nero
ed io di sotto al pullman… lumaca
sì lumaca a ricercare rifugio.
Di sopra gli uomini sgozzati uccisi
e le donne, le mie care ancelle,
portate via come fosse roba
su quelle moto che andavano via
ed io la scordata.
Ma c’è forse qualcuno qui d’intorno
che possa dirmi di scordare il male
e poi, non so ancora come, qui
priva di dignità e identità
folle son solo Medea l’antica,
che quando vide Giasone si perse…
lo vidi e là mi persi
persa che sono persa
Qui di gran follia vittima pure
e qui ancora folle per carne ed ossa
per questa guerra da me non cercata
dispersa e abbandonata.
Ed io qui confusa,
per strade ora deserte,
m’insinuo qui per questi intonaci
che mi cadono addosso
assieme al recente patito,
ed è il qui che mi logora
l’essere qui a patire
                                   io qui la straniera,
come se impastata fossi ancora
con la marcia, l’indegna che logora
ripartorita a nuovo in nuovi strazi
a rigenerarmi in nuove follie
e mischiando il mio con altro mio.
E la testa che mi si scheggia
qui tra il detto e il vissuto
in equilibrio tra pesanti guasti
che confondono e mischiano
ad ogni trascinante guasto.
E dunque per scelta l’estranea,
che per secoli tutti a maledire
Medea immonda cagna,
e quando c’è il male ecco che d’accanto
ecco infangato quel nome rispunta.
Da sempre l’assassinio
è compito dell’uomo
come se creato fosse per quello
e di certo lo fu
per fare di suo unico mestiere:
uccider l’altro, fratello o diverso.
Forze potenti e insane
                                   spingono a uccidere
E tirano qui in mezzo il mio dio,
vostro in cui credete
 loro in cui credono
e uccidono, uccidono
bestemmiandoli nel sangue aggrumato…
 
(Si ode forte il sibilo di una sirena)
 
                                   E sentite, sentite la sirena
                                   che, precedendola, annuncia la morte
                                   ed è da sola già squarcio, ferita.
                                   E qui a rianimarsi la città,
                                   le scure strade, percosse e ferite,
                                   per poco tornerà.
                                   Di corsa in furia per morsi, per rabbia
                                   per trovare una speranza di scampo.
                                   Poi nuovamente deserto e morte.
                                   Ecco qui… là dove possa l’intrusa,
                                   io Medea, io donna…  l’intrusa
io Medea l’impura straniera,
la confusa, la pazza, la stuprata
                                   celarmi alla vista di tutti gli altri.
                                   Confido nei fumi
                                   per confondere qui i miei contorni.
                                   ……………………..
 
S’accuccia in un angolo nella speranza che i densi fumi le celino agli occhi della gente.
 
 
SCENA SECONDA/IL SOLE DI CHAMA
 
(Maestra, Una donna,  Medea - Mentre Medea sta in un angolo accucciata, quasi coperta da fumi che la proteggono dalla vista degli altri, una Maestra, al lato opposto di Medea, parla, o meglio incita, verso un punto indefinito, da cui provengono voci di bimbi. Voci che diminuiscono, fino a zittirsi, durante il discorso della maestra. Si ode di nuovo il suono di una sirena)
 
MAESTRA               La sirena: forza, forza bambini!
Forza di sotto prima che le bombe...
Dai, vai,  giù di sotto per giocare!
Dai, dai non fate tante storie
vedrete che bello il sole di Chama
 
Quasi un “a parte”
 
Ha voluto portare là di sotto.
la luce del giorno che sopravvive
Lui, il sole, bello che ci sorride..
Bello il sole di Chama
calato là, di sotto nel gran buio:
millissimi colori in ogni raggio
pennarelli seccati dall'amore.
Qui e là stenti si fanno i segni,.. sporchi,
 voglia di far di fretta
nel portare a fine un gran sogno, bello…
tener caro e tenero giù di sotto
quel gran sole bello, che sopra è smunto.
È stolta l’abitudine
di dover qui ogni giorno
ringraziare il gran sole
ora che sopra è smunto.
 
(Si ode nuovamente il sibilo di una sirena
 
MAESTRA               Dai, dai, giù, giù
 
(Entra una donna e parla con la maestra)
 
UNA DONNA          Chama l'ho vista uscire,
ieri l'altro dal fumo, bianca… stesa
da un gran buco scuro tutto bruciato
accanto al forno in piazza.
Stava stesa, poi subito avvolta
e nel bianco lì in terra...
spezzati i pennarelli color sole.
Lì il bel giallo del gesto,
d'intorno a fiorire i rossi di morte…
… stava stesa poi subito avvolta
e nel bianco lì in terra...
 
( Medea come in un contro canto dal suo nascondiglio)
 
MEDEA                    Anch’io qui nascosta 
                                   anonima a soffrire qui di nuovo…
                                   Qui lasciata, dispersa…
                                    folle e confusa tra ruolo e vita
Destata, ma che dico, ridestata
tra sassi e macerie
d’un infinito viaggio
a chiedere la pietà perdono
qui nel fumoso turbinare nero
di rinnovati forzati ricordi
che s’affacciano con tetra ferocia
a ogni svolta per viottoli persi.
Anch’io qui nascosta
                                   anonima a soffrire qui di nuovo…
                                   Io qui mischiata tra carne e ruolo
                                   sì che l’ho vista uscire bianca Chama…
                                   stesa, avvolta nel fumo
                                   neppure una carezza,
                                   quella carezza estrema
Io qui mischiata tra carne e ruolo
quella carezza estrema
                                   là sui capi di Mermero e Fere
                                   che mi fu negata, via, strappata
                                   neppure una carezza, capace                         
                                   sono stata, respinta
                                   non dagli altri ma da me
                                   respinta dal mio intimo dolore.
           
 
SIRENA
 
MAESTRA               Dai dai tutti di sotto in fretta
la sirena continua a risuonare.
 
(La Maestra scorge Medea)
 
Ehi tu che ci fai lì nel fumo?
Mi pare di non conoscerti affatto.
 
UNA DONNA          Neppure io l’ho mai veduta,
                                   quei vestiti sanno di lontano,
                                   non che con la guerra noi la moda…
                                   … ma quelli non sono abiti siriani
                                   e poi di sangue lordati di tanto
 
MAESTRA               Se fosse un’inviata, sì… lo saprei
                                   si sarebbe fatta avanti a chiedere
                                  
UNA DONNA          e a chi chiedere se non a te,
                                   che sei rimasta l’unica voce
                                   nel silenzio brillante della morte?
                                   E che sia una spia?
 
MAESTRA               Ma… non sembra, potrebbe…
                                   … di certo straniera: non porta il velo.
                                   Piuttosto mi sembra atterrita, spersa.
Vado, chiedo, la sento
 
UNA DONNA          Io avrei paura, stai attenta!
 
MAESTRA               Tranquilla non lo sono,
ma porla al riparo di sotto lì
mi sento forte nel petto il dovere
pure se straniera e forse ostile a noi…
e se non lo facessi… male!
bestia mi sentirei…
 
UNA DONNA          Io avrei paura, stai attenta!
                                   Vedi come va fiera a capo nudo,
                                   disinvolta, sbracciata, spudorata
                                   per queste piaghe di fango e di pianto!        
Forse è meglio tenerla di lontano.
Là ci son dei sassi, cacciamola!
Cacciamo l’estranea, la straniera
senza velo, venuta a irriderci…
Chi ce l’ha mandata? Perché è venuta?
Vado subito a chiamare altre donne…
 
(La donna fa per uscire ma la Maestra la blocca prontamente per un braccio)
 
MAESTRA               Non vai a chiamare proprio nessuno!
Non abbiamo abbastanza lutti noi?
Altri vuoi forse aggiungere ancora?
Lascia che l’avvicini…
                                   che parli e al riparo la conduca…
 
UNA DONNA          Giù con noi, giù con i nostri bambini
                                   la straniera, la bionda?
                                   Attenta fa attenzione!
 
MAESTRA               Attenta a te, vattene!
                                   Mandali tutti sotto di gran fretta!
La sirena è suonata…
Tra poco risuoneranno i mortai…
Via via di fretta, sotto, sotto…
 
UNA DONNA          Attenta fa attenzione!
 
(La Maestra la caccia vistosamente e rimane sola, poi lentamente con cautela si avvicina a Medea che alle prime parole che le vengono rivolte si alza e si pone fiera davanti alla Maetra).
 
MAESTRA               Ehi tu che  per modi e movenze
con tutta certezza sei straniera,
tu che vai fiera a capo scoperto
che fai lì nel fumo?
E fatti guardare bene nel viso…
No… non ti conosco, dunque chi sei?
 
(Medea non risponde immediatamente, fa un passo all’indietro e tra sé in un appena sussurrato a parte)
 
MEDEA                    Dunque giochiamocele qui del tutto
                                   paura e follia che mi schiacciano…
                                   Sottile per davvero è il confine
                                   tra il vero e la finzione:
                                   un filo… sono abile su quel filo,
                                   io equilibrista della menzogna,
                                   col mischiare l’arte con la follia
                                   dell’esistere instabile, precario.
 
MAESTRA               Vuoi dirmi chi sei?
 
(Medea riprende un atteggiamento altero si riavvicina alla Maestra e dura recita)
 
MEDEA                    Io son Medea di Eete la figlia
e sorella di Apsirto
e maga, io, e nipote di gran maga
ripartorita a nuovo
dalle cosce fetide del potere
 nelle funeste disgrazie di Aleppo.
 
(Rientra la Donna, ma rimane discosta da Medea e dalla Maestra, se ne sta come fosse invisibile alle due e per tutta la scena reciterà “a parte”)
 
UNA DONNA           È matta, che vuol dire?
 
(Entra un Vecchio che si affianca alla Donna e, d’ora in poi, si alternerà negli “a parte”)
 
UN VECCHIO         La matta si prende gioco del nostro…
 
UNA DONNA          dolore che tanto ci brucia dentro
 
UN VECCHIO           Le cosce, dice, dio non rispetta
 
UNA DONNA          Dicevo bene di cacciarla via
 
(Un nuovo sibilo della sirena. Il Vecchio e la Donna escono. Si odono molti brusii, grida di donne e bambini. La Maestra lascia per poco Medea e rivolgendosi verso il luogo da cui provengono le grida
 
MAESTRA               E lì basta per dio!
                                   E calmatevi tutti!
                                   e voi vecchi non dite più nulla?
                                   Appassite le voglie,
appassita la lingua.
                                   Andate di sotto, in fretta di sotto
                                   prendete le donne e via di sotto!
 
(La Maestra torna di nuovo da Medea, mentre risuona ancora lungamente il sibilo della sirena).
 
MAESTRA               Hai sentito? Di nuovo… sirena?
E tu mettiti bene nella testa
che non ci sono pazzi che van dietro,
qui in Aleppo ai tuoi scherzi malsani,
Non vogliamo altri imbrogli
ora che la matta guerra ci azzera
qui in questa terra che più non parla,
Aleppo confusa nella rimbomba.
in questo assurdo vivere tra i morti…
Piena di paure e tragici fumi…
 
(Medea continua nel suo folle dire quasi accentuando i ritmi di una recita folle ed interiore)
 
MEDEA                    Taci tu che mi sembri pure saggia…
Questi gran fumi neri che distolgono
i vostri occhi dai miei contorni
così che vi è difficile capire
chi io sia o chi possa essere…
So: sono fumi che hanno di dentro
le silenziose urla di bimbi…
urla e sibili infecondi di bombe.
 
MAESTRA               Tu che ne sai
di vecchi senza speranza di seme
che si muovono nelle urla di morte?
Tu che ne sai
delle  madri, che vorrebbero secco,
 secco da sempre il ventre
per non partorire più orfani e strazi,
gli occhi si caverebbero dalle fosse
per non vedere i loro frutti acerbi
strappati dalle piante
e precipitati giù nelle fosse.
Tu che ne sai
di noi dispersi in urla di morte?
 
 
MEDEA                    Queste urla bianche di morte! Di strazi!
Per vie strette, un tempo,
un tempo case addossate l’un l’altra
e i gelsomini teneri all’aria,
con l'odore, ma che dico? il profumo,
di zagare e sperma e le care madri,
e dico qui delle tenere madri
i figli dolcemente accarezzati.
Un tempo vie strette per profumi
che mi potevano anche ricordare
i luoghi dove visse e a volte vive
la parte di me che è meno terragna
Non più. Ora che qui lugubri spiazzi, ulcere…
So, so e pazza non  sono…
Già dio mi ha punito
di nuovo mi punisce
col restituirmi ripartorita
qui dove un’afona Aleppo m'accoglie
che tutto il dire, il gridare ha speso
So, so, so…
 
MAESTRA                             … ma che dici?
 
MEDEA                    Inudibili le grida bambagia
dei bambini sorpresi nel gioco
o nei loro lettini d’infanzia,
un becchettio timido alla vita
sta sprecato, disperso nelle vie
dove un altrove potere si espande
E vengono giù a tocchi
compagni alle bombe i bei parlari
di quelli intessuti nei crocicchi
al riparo di tende
che paravano il sole
e tutto sembrava un mare di festa:
di sotto si giocava tutto un mondo...
 
MAESTRA               Ma dunque dì chi sei
tu che parli da saggia
nel tuo dire confuso da matta?
Ora che siamo sole parla.
Tu, che parli da saggia,
ma vai sfrontata a capo scoperto
per questi neri resti martoriati
della grande colta Aleppo che muore,
dimmi, dimmi chi sei!
tu che parli da saggia
nel tuo dire confuso da matta?
dimmi, dimmi chi sei!
 
MEDEA                    No non sono un’inviata
                                   e neppure una spia.
Sono stanca di stare nel segreto:
                                   tutte mi date della disinvolta
perché sto ritta fiera a capo nudo,
vorreste  tenermi lontana
e magari cacciarmi coi sassi,
 e con acuminate pietre uccidermi.
Ed è certo che lo meriterei,
una parte di me lo meriterebbe,
ma sono stanca, distrutta
 
(Medea si interrompe un poco come tradendo imbarazzo, poi si riprende e sembra ancor più recitare)
 
ma sono stanca, distrutta
dal dovere tacere chi io sia
poco m’importa se più mi odierete
finché qui sopra vorranno che stia
per punirmi a nuovo con veemenza.
                                   Ebbene sì sì sì io son Medea
 
MAESTRA               Ancor mi parli di figlia e di madre?
 
MEDEA                    Taci per dio! Il vero io dico!
Ma dillo, su urla che son strana, matta
                                   che prendo gioco del vostro dolore…
                                   il dolore che qui, qui mi ha portato
                                   appassita la lingua,
ma non la forza grande
di stare in mezzo al lutto
                                   e perché se altri vogliono,
                                   hanno millissime volte voluto
                                   ebbene io dico, io resto
                                   anche se dovessi star ferma qui
                                   coi piedi franati qui nel cumulo
                                   Basta per dio! Basta!                                                
Io son Medea di Eete figlia
e d’Apsirto sorella
e maga, io, e nipote di gran maga
ripartorita a nuovo
dalle cosce fetide del potere
 nelle funeste disgrazie di Aleppo.
Medea  l’assunta sul carro d’Elio
rigettata in terra nella rimbomba
qui per essere punita di nuovo
come non fosse bastato allora
le mani bianche di sangue lordarmi
di Mermero e Fere, teneri figli
 
(da qui più sciolta, ma sempre in equilibrio tra recitazione e vita)
 
e vedo ancora le loro manine
là tese nella gioia tradita…
e quante ora qui negli scantinati
penetrati, spazzati
e di loro quanti m’han fatta madre
perché nel ventre mi bruci il dolore,
lo strazio di quelle labbra private
dall’alito giocoso della vita…
 
MAESTRA               Continua pure nei tuoi dire
                                   insensati e da pazza
dici storie e fai nomi insensati
Ma del dolore nero che ci occupa,
benché nel tuo strano modo folle,
sembri sapere bene, esserne conscia.
Da sei anni come topi in trappola
bambini chiusi, percossi dall’incubo,
“domani, dopodomani che forse…
magari martedì
speriamo”. Eh sperano… sperano in cosa?
Io li ho visti e chiaro posso dirlo.
 
MEDEA                    Anch’io l’ho veduti
E da dove viene su a est il sole
a Sukkari la gran fossa,
di sopra al grigio che esce dalle case
due uccelli argentati ho veduto
aprire di sotto le ali le pance
e giù, perdio, a bomba gran bidoni…
… fuori dai ciottoli,
rimasugli ridotti in sassi scuri,
intonaci svuotati dalle storie,
che per anni belle hanno volato…
lì ultimi ripari per granate
e mortai senza alcuna pietà…
…  fuori li ho visti venir martoriati
cortei di anime smunte, bambine:
con gli occhi, già di per sé, fuori spinti,
grandi arrossati e i fiati a singhiozzo
nuovo castigo sui morti a mucchi.
 
MAESTRA.              Parli come fossi una donna di qua
Di più... di più… una madre...
 
(Medea si investe maggiormente nel ruolo, ma penetra fortemente nell’Aleppo sconvolta dalla guerra mischiando sempre più linguaggi e storie)
 
MEDEA                    Sì son madre, ... madre…
Nulla a me Medea, la folle madre,
divelta dal mito  m’è risparmiato
e mille più mille morti bambine
mi si ritorcono addosso,  io… qui
corro per quelle rotte, lerce brande
e dolce, per quel poco
per quel poco di dolce,
che salvai tra tanto fuoco e sangue
la gelosa, la pazza, da Corinto,
e dolce accarezzo i capelli arricciati
qui di tutti i miei Mermero e Fere
a mille straziati a pezzi sul marmo,
a rinfacciarmi ancora qui di Apsirto,
fratello gettato in mare a frantumi,
per frenare la corsa
di nostro padre Eete
mentre con Giasone, il vile, fuggivo.
Vomitata qui al di fuori dal mito
come capro io fossi
di tutte le morti infantili al mondo…
difficile ricomporre i miseri
corpicini mal ridotti, straziati
da restituir per lutto alle madri.
E quello che per alterigia non piansi
sono condannata a piangere adesso
per le vie aperte,  sparse, asciugate
di quest’Aleppo la colta, la morta.
 
(La Maestra parla a persone fuori campo)
 
MAESTRA               Che cosa ancora aspettate voi altri
Andate, forza di sotto!
Io mi trattengo ad ascoltare … Medea,
che nel suo essere confusa
e con qualcosa di folle
apre a dell’altro di sofferto, di sincero.                   
 
MEDEA                    L’orrore bianco di fumi levati
da cumuli macerie
dalle strappate storie
prende alla gola, al ventre
e maledetto il ventre
che generò tetri destini.
Gli dei violenti estender vogliono
come non fosse, non fosse bastato,
come se non bastasse
 il fatto e il subìto
a  Medea  il castigo:
e qui ad Al Kalasa  strappo
ma non levo dal capo
 la veste di nozze
mio dono letale là a Creusa
bruciata, distrutta nella vendetta
guidata da ciò che voi chiamate
arcaica passione.
Che forse i vostri Numi
la vostra razionalità tradita
e data in uso al potere di pochi
faccia meno danni della passione?
Qui ad Al Kalasa brucia il mio corpo
per dolori che sanno di vendetta,
che forse, e non è di certo bestemmia,
ho avuto sol la macchia
d’essere madre senza avere smesso
d’esser figlia e regal figlia, per giunta…
o padre, padre mio
 rimettimi sul grande carro di Elio…
o con gli dei che tutto possono
fai che sia utile in queste terre.
 
(Medea attenua il tono recitativo)
 
Ieri là ad Al Kalasa
da crolli dimezzata,
 le bocche disposte al bacio finale,
vidi arrivare i grandi grifi argento:
le bombe che vengono giù e cadono
con urla infami e scuotono di  dentro,
mischiano e mestano i guasti del mondo
e i terribili domestici inganni
e nuovamente pago, pago… quando
coi piedi là franati in un cumulo
rivedo, mi par riveder Giasone,
l’altero, colui che mi disperse.
Sulle calci taglienti corro a lui,
io la sventurata,
e  l’amante tradita…
si volta: è Kalem dagli occhi arrosssati
e lampeggia al petto la sua Nikon,
non dice… scatta l’orrore, lo ferma…
io fermerei se sol potessi
quello scempio che immondo…
Vengono fuori da sotto lo scoppio
le mani tese in avanti, bracci, rami,
a protender frutti piccoli, cenci
e son decine di Mermero e Fere…
se potessi l’alito della vita
 insinuerei lì in quelle bocche
che son  fiore di morte.
Kalem mi prende, mi strappa per mano
per un toboga rosso di macerie
ci si infila di nuovo nella storia,
il bollo dell’infamia,
nuovamente si arrossa
e vengono giù per tocchi gli amori
dagli intonaci, che addosso cadono,
e nero l’uomo in piedi,
nera la velata donna in ginocchia
col bianco del bimbo morto nel grembo.
Kalem scatta, io grido e mi scostano
gli uomini verdi del soccorso… male:
il bimbo discosto, levato, alzato
portato via, lo seguo con gli occhi,
 lo perdo:poco serve la mia
la mia carezza di madre
a quel gruppo immobile,
doloroso nel nero.
E l’occhio meccanico di Kalem
scatta, scatta, prak… prak
un brusco rumore soffoca il clik;
il calcio del fucile lì d’un milite
colpisce, prak,  in pieno l’obiettivo
ed è insieme regolare e ribelle
chi chiude occhi su Aleppo che si spegne…
Resta la mia voce
di madre… la rejetta,
come potrà essere ascoltata qui
per queste viscere sporche del mondo
sempre più maltrattate
la voce della colpa
atavica ed immensa…
Da chi è composta quest’orda di dei
che da e per sempre posseggono il mondo?
Ah maledetto chi ha creato dio!
 
MAESTRA               Pazza perché bestemmi?
                                   scendi piuttosto al rifugio con me…
                                   quelli che tu dici uccelli d’argento
                                   apriranno le pance qui su tutti…
                                   Vieni…
 
(ormai per Medea non ci sono più confini ta finzione e realtà
 
MEDEA                    Ah se qui definitivamente
                                   avessi la fortuna di morire
e Mermero e Fere fossero loro,
 rinati, a dare le morte alla madre,
                                   a me la folle madre
dai loro uccelli grigi nel cielo
                                   e che nessun dio mi rimandasse
                                   di nuovo sulla terra per soffrire
                                   nel soffrire dello strazio di bimbi,
                                   figli, figli miei tutti, adorati.
 
MAESTRA               Vieni…
 
MEDEA                                vai…
 
(La Maestra scompare, in scena rimane solo Medea)
 
SCENA TERZA/ LA IENA
 
(Medea riprende a recitare con forte sottolineatura)
 
MEDEA                    Perché non credete che son Medea
                                    sciagurata, giù tirata dal carro,
                                   dal pullman che dalla Siria fuggiva,
                                   buttata in pasto alla gente, la iena,
                                   iena, iena sì oscena iena,
                                   che i suoi figli uccise,
 ma anche a una iena vile
                                   andrebbe concesso riposo … un poco,,
                                    riposo a me negato, trafugato
                                   e dovunque, nei luoghi e per tempi
                                   ci sia sacrificio di bambini 
quel dio maledetto,
                                   per disegno del quale
 sciagurata mi mossi
                                   mi ripartorisce qui nuovamente
                                   atterrita in qualche budello osceno
del mondo, questo mondo
                                   putrido, maledettamente putrido,
                                   a riveder di nuovo
…  il mio infanticidio.
                                   Che siano lager o lande
 infangate dell’Est
                                   son lì a raccoglier membra
                                   di nuovi figli miei,
 muti, immobili, morti
                                   disperati uncini che qui l’utero
lacerano con forza.
                                   E qui ad Aleppo la colta, la nobile
 un tempo, non ora mah…
                                   nel fango dio mi ha mandata a patire
                                   qui dove la guerra le morti reifica
                                   son bitorzoli, guasti della storia
                                   gridano, implorano,  misericordia
                                   sti corpi azzurri dalla morte rosi…
                                   … e questa infelicità che m’avvolge
Dico m’avvolge da assai lontano
                                   e che mi rimesta la colpa infame
                                   ormai mi sta, sorella, aggrappata
                                   come una gran  malefica abitudine…
                                   e son donna, sono tutt’uno
                                   e dentro mi penetra quella colpa
                                   tragica e arcana, mi sconvolge
 
( In equilbrio tra realtà e finzione Medea sconfina in una recitazione più realistica, sofferta e sofferente)
 
                                   … di notte, a rischio mio,
                                   nelle tele scure del coprifuoco
                                   come pendolo impazzito mi muovo
                                   da una parte all’altra della città,
 spenta in un silenzio che ci frantuma,
                                   dovunque ci sia un lenzuolo bianco
                                   che dica e urli di morte bambina
                                    lo strazio ancora mi percuote, opprime..
                                   Da poco è partito un ultimo pick up.
Sopra ci abbiamo caricato i corpi
a brandelli là i resti delle vittime,
ma anche i feriti. I vivi, coi morti,
sobbalzo per sobbalzo
 fino là all’ospedale da campo.
Per salvare ciò che vive nel morto
Fretta: senza far caso
 dove il grosso pick up
con gran fragore passasse e schiacciasse
la fretta non concede scampo o altro
ai vivi o morti stesi in terra.
Di pietra nere le madri e le mogli
con loro a piangere, urlare, gridare
vecchi smunti e scavati,
lasciati lì inutili a sopravvivere,
come cianfrusaglia in vecchie cantine,
e sola, finiti da tempo i pianti,
lì a imprecare, bestemmiare dio
il mio e l’altrui
mentre gli uomini si vestono a bello
e si fanno alibi della bontà
sì, del loro par-ti-co-la-re dio
balle… balle su balle
lasciate star dio chiunque sia
quello in cui integralmente credete.
Vi riempite la bocca di dio
per poter chiedere il perdono
dei vostri assassinii, dei vostri eccidi
e d’altro non v’importa.
Colui che è e che era
e che viene ve lo siete giocato
per giustificare l’apocalisse,
pure tragica, pure sanguinaria,
pur terribile in morti
laica, terrena e per sporchi soldi.
Vergogna, voi razionali un cazzo!
Nel  quartiere di Hanano
tutto le bombe hanno colpito
anche i luoghi angusti
dei volontari hanno bombardato,
 non c’è più nulla per scavare sotto
se non la mano nuda.
Quelle mani nude che scorticate…
come scorticati stanno gli intonaci
di tutto il quartiere sghembo, malmesso
là dalla parte dove s’inrosava,
là tra le dita dell’alba, il mattino
ora non più e densa polvere grigia,
fuliggine spessa, spegne il cammino
di chiunque verso vi si avventuri.
Ed in tutta la città manca l’acqua,
i metallici uccelli
hanno defecato bombe su bombe
sopra le alti torri dell’acquedotto,
Ah come vorrei che quelle fonti
Nella Colchide dette e frequentate
venissero a nuovo a me
per dissetare le bocche riarse
che mi stanno d’intorno:
a migliaia civili stanchi inermi
affondano labbra e succhiano curvi
putride acque dal fango.
Cadono razzi ovunque, giù, alla cieca
 uno è caduto  nel dolce dondolo
di un Luna Park, uno squarcio:
 manine tese al cielo proibito…
 … bambini che gioiosi
sacrificavano lì al loro dio
e io correvo, correvo, spostavo
legni, cartoni, ferri da gran fiera
 rimuovendo là scoprivo continua
i miei Mermero e Fere.lontani.
Io la iena tra le bianche morti bambine.
Quelle morti bambine, che fragili
dentro  rodono e viscere stracciano
rimorsi e strazi dispersi nel buio
che speravo andati, appunto nel buio,
invece luci a nuovo m’accecano
e resto qui in rinnovato tormento 
 statua, ecco, coi piedi franati
per questi sporchi cumuli aguzzi
E gli ospedali stanno su a fatica
becchi feriti e laceri, appuntiti,
levati verso un cielo di polveri…
… dovunque son feriti senza letti
con braccia, gambe via… lì… levate
 io, la straniera, la iena
a darmi da fare per pianti asciutti
senza capir confini
 tra il giusto e il torto,
chi subisce terrore oppure lo inferte,
alle vie che scambio negli angoli
lì nell’arrotolarsi
di fili che spinati,
stanno serpi tra congiunti,
che non sanno se non la paura.
E io rinata ai tragici lutti
son tornata a vivere superstite
e l’impotenza e la rabbia degli altri
si fa mia e nel profondo mi penetra
per rimestare trascorsi delitti
e sto tra loro che affidano a foto,
ed è un click insistito,
nascosti alla meglio i telefonini,
come fosse un contro lamento opaco
al rombo, rimbombo delle mitraglie,
e sto tra loro che affidano a foto,
traballanti video,
mail, lettere e post
le loro denunce su invisibili
impalpabili libri
e lo strazio dell’Holocaust Aleppo.
Aleppo che esala estremi respiri
e attorno alla rimbomba di qui
si fanno spessi teli di silenzio.
Sparirò quando vorranno gli dei
conceder pausa al mio tormento
o io stessa per decisione forte
lascerò questo mondo
votato sll’inganno, all’imbroglio…
Ma, perdio, che main venga a sapere
che qualcuno dica che non sapeva,
non è possibile ignorar lo scempio
e dove non piovo  la bomba-morte
arrivano gran colpi di mortaio
dico di là, là fuori dall’assedio
dove oggi è andato Kalem
a prender di nuovo il suo terzo occhio,
forse alla borsa nera
di là qualcosa esiste, sopravvive.
Star dalla parte giusta pur per caso
significa avere un qualche più
di scura sofferta sopravvivenza.
Io invece qui per caso sono capitata,
scivolata, dispersa e …
 
(Come se gli fosse sfuggito)
 
                                   Gli altri … straziati morti,
                                   io di sotto al torpedone, nel puzzo
                                   nel fango , lontani gli assassini
                                   non rimaneva che uscire
                                   ad abbassar loro le palpebre
 
(Medea riprende il suo faticoso gioco d’equilibrio tra finzione e realtà)
 
 
E io, la iena, qui ad attendere Kalem sto
perché il mio ventre, più lupa che iena,
ancora ha voglia di maschio, di maschio…
a rinnovar perpetue condanne…
 
SCENA QUARTA – KALEM O DEL SESSO
 
(Da una quinta sporge il capo di Kalem, preceduto da uno smartphone, si ode un soffocato click, si vede un flash sul volto di Medea)
 
MEDEA                    Oh Kalem
                                   (a parte) Qui l’ho visto e mi son persa
 
(Kalem si avvicina e scatta di nuovo sul viso di Medea che indietreggia un attimo)
 
MEDEA                    stupido di un Kalem, pazzo,
                                   qualche cecchino potrebbe vederci…
 
KALEM                    E su vieni via con me, Medea
 
MEDEA                    Accidenti che fretta!
 
KALEM                    Guarda le bombe che tirano giù!
 
(Medea l’afferra per un braccio, si siede e trascina accanto Kalem)
 
MEDEA                    Siediti che ci colpiscano qui
                                   o schiacciati di sotto…
                                   che differenza fa?
                                   Non importa più dire ch’io sia,
                                   ma tu chi sei, Kalem?
                                   Un occhio meccanico
                                   scatta, scatta, ma dove cazzo vivi?
 
KALEM                    Lasciami dire… tu…
 
 
MEDEA                    Hai tutto il tempo qui per parlare,
                                   ma ora lascia che ti comprenda un poco…
                                   come fai, dicevo
                                   a scattare, fare fotografie
                                   dentro questi fumi neri di morte?
 
 
KALEM                    Fare foto è il mio mestiere, allora?
 
MEDEA                    Allora cosa… in tanto massacro?
 
KALEM                    Stai calma,, stai tranquilla
                                   che i massacri, le guerre e chi li vuole
                                   avvengono anche in mia assenza…
                                   e poi… e poi
 
MEDEA                    E poi cosa?
 
KALEM                    E poi anche una foto,
                                   una misera foto,
                                   figlia di un misero click,
                                   ti gira il mondo e denuncia sai?
 
MEDEA                    Sfruttare la morte d’un bimbo
                                   ti fa grande dietro i tuoi click?
 
KALEM                    Con ciò che in giro vai dicendo
                                   di te, della tua storia,
della tua colpa infame
ti indigni per le mie foto?…
Io credo tu sia una gran pazza…
 
MEDEA                    Sì son la pazza
                                   così tutti mi chiamano qua,
                                   la lupa, la malvagia ho solo una gran voglia
                                   di andarmene via da questa guerra
                                   da queste morti tenere…
                                   Ho gran voglia di dormire
                                   e strisciare nel sonno
                                   strisciare fino in fondo qui nelle viscere,
                                   nelle viscere profonde di me stessa…
 
KALEM                    Non so se, come dici tu, il sonno
                                   possa essere una soluzione…
                                   nelle guerra vien la voglia
                                   d’allontanare il dormire,
                                   i bambini, soprattutto loro,
                                   stanno svegli nel buio
                                   consumano la notte a fatica
                                   a tener sbarrati gli occhi…
 
MEDEA                    …  e li tengono sbarrati
                                   per vedere se dal buio d’attorno
                                   si configuri un nuovo dolore…
 
KALEM                    Che vuoi farci, Medea,
                                   fin da piccoli noi uomini
                                    siamo… siamo rabdomanti del dolore
                                   sì con le nostre bacchettine
                                   tic, tic  in ogni luogo tic tic
                                   e par che si provi orgasmo
                                   quando sotterraneo si trova
                                   un dolore da infliggere all’altro…
                                   Coglione chi pensa ciò,
                                   come non vedere, non capire
                                   che l’altro ha provato gioia,
                                   e grande gioia, dico
                                   nell’aver scoperto altro
                                   altro subdolo sotterraneo dolore
                                   con le sue bacchettine
                                   tic, tic in ogni luogo tic tic
                                   con le sue bacchettine tic
                                   da rabdomante del dolore.
 
MEDEA                    Hai ragione Kalem… tutti coglioni,
                                   Uomini o donne che siano,
                                   che siamo se v’è difficoltà,
                                   una difficoltà che pesa un monte,
                                   a comprendere, capire
                                   che le bacchette, quelle che tu…
                                   tic, tic… le dici tic tic
                                   siamo noi stessi stecchi
                                   manovrati da mani bianchissime
                                   che san, da lontano, di lavanda…
                                  
(Medea, rovista nella borsa estrae delle sigarette e un accendino, sembra rilassarsi)
 
MEDEA                    Fumi?
 
KALEM                    Sì grazie….
 
(Con  tenerezza si avvicinano e si accendono assieme le sigarette, aspirano entrambi e poi lei si stende appoggiando la testa sulle gambe di lui)
 
MEDEA                    Ecco, ora che pare
                                   ci sia pausa tra un’incursione
                                   e l’altra degli uccelli argentati,
                                   vorrei davvero addormentarmi
                                   e, come ti ho detto,
                                   scavare nel sonno colorati cunicoli
                                   che mi portino dentro
                                   nelle viscere profonde di me stessa…
 
KALEM                    Dove hai dormito,
se dormire si può, queste notti
qui in Aleppo?
 
MEDEA                    Da Abdul-Baasit
 
KALEM                    Abdul-Baasit? Non mi dice nulla
                                   Ne conosco una decina
                                   Con quel nome…
 
MEDEA                    Un omone grosso, grosso…
                                   non sembra starci dentro molto
dico di testa,
anche se dai libri che ha d’intorno
sembra di cultura non banale;
                                   indossa una maglietta del Barcellona,                      
                                   di quelli che giocano a calcio,
                                   no lui no, non riesce a muoversi…
 
KALEM                    (quasi ridendo)
                                   Ma dici di Abdul-Baasit dei cessi?
 
MEDEA                    Sì, sta sempre lì nel suo gabbiotto,
                                   le bombe hanno risparmiato la sua guardiola
                                   e un paio di cabine alla turca,
                                   e lui sta lì, non si muove mai,
                                   è grasso, grasso sta lì
                                   anche quando gli uccelli d’argento
                                   aprono le loro pance di morte,
                                   confida in un dio tutto suo
                                   non so se protettore suo e degli uomini
                                   o del cesso e delle sue maioliche
                                   a pezzi, scheggiate, a pezzi.
 
KALEM                    Sì, sì lo conosco, ma tu come…
                                   come l’hai conosciuto?…
 
MEDEA                    L’altra sera, tornando dall’ospedale,
                                   la prima sera ad Aleppo, dispersa
                                   e scossa da tutto quell’impasto
                                   di morte e ferite e quei lamenti
                                   quei lamenti sparsi di bambini,
                                   giravo in cerca d’un posto
                                   dove accucciarmi come fossi feto
                                   senza dar tanto nell’occhio…
                                   Lì alla svolta un cubo sporco
                                   dritto, dritto nelle macerie
                                   e accanto un carretto di quelli a stanghe,
                                   poche robe di sopra,
                                   facili da rimuovere…
                                   … salgo sul carretto… traballa,
                                   mi stendo sopra, sto bene…
                                   metto la borsa sotto la testa…
                                   “Ehi” fa una voce da dentro
                                   il cubo dritto nelle macerie,
                                   giro di poco il capo
                                   e dentro il gabbiotto
                                   vedo la massa enorme
                                   di Abdul-Baasit il guardiano…
                                   … faccio per alzarmi,
                                   mi fa segno di stare,
                                   e lui, col suo vocione profondo,
                                   e lui: “Ce l’hai una birra?”
                                   Non ho birre di certo
                                   ma ho preso dall’ospedale
                                   qualcosa da mettere sotto i denti,
                                   la mia cena… la divido con lui…
                                   mi ringrazia, mi dice di stare,
                                   stare lì sul carretto malmesso
                                   tutto il tempo che voglio,
                                   anche nei giorni a venire
                                   se le bombe….
                                   “ma da domani una birra, grazie”…
 
KALEM                    Sempre sul carretto?...
                                   Io ho trovato una sistemazione
                                   sempre un disastro, ma meglio
                                   di certo meglio della tua…
 
MEDEA                    Dove?
 
KALEM                    Qualche mese fa per un reportage
                                   avevo incontrato un matto,
                                   un vecchio collezionista
                                   di macchinoni americani,
                                   del tutto distrutte le macchine,
                                   ma della sua casa, giù,
                                   era rimasto il tetto
                                   solo di sopra al letto
                                   e ai quattro mobili vecchi
                                   d’intorno a un giradischi
                                   di quelli di una volta.
                                   A lui della guerra non importava,
                                   né di qua, né di là
                                   l’attesa indifferente
                                   della pace o della morte
                                   non l’infastidiva,
                                    diceva che in un caso o nell’altro
                                   arrivata sarebbe la quiete….
 
MEDEA                    E poi?
 
KALEM                    Se ne è andato il mese scorso
                                   anche la indifferenza
                                   aveva un limite!
                                   E io dentro lì… mi ci trovo bene,
                                   i dischi del vecchio giradischi
                                   mi fanno compagnia,
                                   li ascolto con attenzione,
                                   mi piacciono…
 
MEDEA                    Capisci anche le parole?
                                   La lingua di qui?
                                   Ti pensavo, nonostante il nome,
                                   straniero anche tu,
                                   tu per scelta tua, ma straniero
 
KALEM                    Sì, sì sono straniero, tranquilla
                                   sono inglese, mia madre è di qua,
                                   era di qua ora è di qua sepolta
                                   ad Aleppo, da bambina coi suoi
                                   a Londra, il nonno impiegato,
                                   non so che facesse, all’Ambasciata.
                                   A Londra ha incontrato mio padre
                                   fotografo e da lui il mestiere
                                   e da lei il nome.
                                    Mia madre ha voluto qui tornare
                                   mio padre l’ha seguita fin qua
                                   fin qua a finir sottoterra
                                   Quando non ho più ricevuto notizie
                                   mi son fatto mandare dal giornale
                                   qui nella sua, loro, Aleppo,
                                   la grande colta di un tempo,
                                   che muore, crolla.
                                   Bombardata crollata quella casa,
                                   morti a pezzi là i miei
 
(Medea s’accocola sulle gambe di Kalem, che la guarda intenso, l’accarezza sul viso e con dolcezza continua a parlare, quasi piangendo)
KALEM                    Mi capisci è per loro che fotografo
                                   fotografo questi lutti e ste stragi
                                   anche per me per quel che ho passato
 
MEDEA                    Anch’io da diventar folle, ma dimmi
 
KALEM                    Appena tornato in Siria m’han preso
                                   quelli qui dei servizi segreti,
                                   un mese in prigione, in isolamento
                                   senza un motivo, poi fuori,
                                   forse un’amnistia… senza sapere…
 
MEDEA                    Ah io le violenze lo stupro…
 
KALEM                    Lasciami dire che poi lo scempio
                                   di quando sono stato preso
                                   dai militi dello Stato islamico
 
MEDEA                    Anche tu, dove?
 
KALEM                    Qui in Aleppo ero con amici miei
                                   un altro fotografo e un medico
                                   presi condotti… luogo sconosciuto
                                   Io e l’altro fotografo liberi
                                   dopo mesi d’inferno
 
MEDEA                    E il medico, dico dell’altro amico
 
KALEM                    Decapitato, abbiamo visto il film.
                                   Terrore qui nella budelle
                                   a pensare domani sarò io
                                   forse magari… ma… dopodomani
MEDEA                    (quasi in controcanto)
                                   Terrore qui nella budelle
                                   a pensare tra poco sarò io
                                   forse magari… uccisa, violentata
 
KALEM                    Basta che qui soffro, soffriamo ancora
 
(Medea lo guarda, leva il capo dalle gambe di Kalem, che si alza, le stende una mano, lei si alza…)
 
Andiamo, stasera niente cessi
                                   o carretti traballanti
                                   ci son coperte e musica…
                                   là dal vecchio collezionista
                                   che ormai è casa mia
                                   Hai per caso una birra?
 
MEDEA                    Sì, ma poi che facciamo là?
 
KALEM                    Prima aggiusteremo porte e finestre
                                   Poi  la vecchia Buik, a conforto
 
(raccolta la borsa i due escono tenendosi per mano)

 
ATTO SECONDO
 
PROLOGO CORO DEGLI STRAZIATI
(Coro)
 
CORO                       Si,  chi da qui è riuscito a fuggire
                                   ora sta libero segregato per campi…
 
UN UOMO                Perché è il destino malvagio dell’uomo:
                                   che dalla guerra prova a fuggire
 
UNA DONNA           Non solo da qui, ma da altre infamie
con vigliacchi barconi di morte
                                   dalla fame e dalla violenza fugge
                                   è destino malvagio star reclusi
in recinti di ferro…
 
CORO                       Dietro arrotolati fili spinati
                                   e le mani di molti già portano i segni
                                   di quelle maledette spine
                                   che recludoono dispersi, fuggiaschi…
 
UN UOMO                E perché, perché mai?
Perché chiedono di sopravvivere
e basta, basta nient’altro
o qualcos’altro che sia o che possa
sembrare pericoloso o insane…
solo quiete chiedono loro e chiederemo noi
 
UNA DONNA           Troppo sarebbe parlare di democrazia
                                   neppure di pace, parola grossa,
                                   basterebbe quiete, semplicemente
                                   semplicemente domestica quiete
 
UN UOMO                Ma sembrava all’inizio si dicesse…
 
CORO                       Si dice che i fuggiti da qui,
                                   quelli che ormai stanno là lontano,
                                   là nel fiato assieme agli altri lontani,
                                   che di mano in mano si passano,
                                    come i più fortunati, qui tra noi,
                                   di mano in mano si passano attenti
                                   cellulari Hi phone
                                   e ci dicon che hanno saputo, sentito
                                   hanno sentito che Aleppo è libera
 
UNA DONNA           Non sappiamo, chissà…
                                   di tanto in tanto ancora sentiamo rumori …
 
CORO                       Spari sì, di nuovo spari qui intorno
 
UNA DONNA           Dalla radio e dallo smartphone,
                                   che d’altro non ho per stare nel mondo,
                                   si spande per onde nell’aria nera:
“l’orrenda offensiva congiunta
                                   di Assad e dell’esercito russo
                                   ha liberato Aleppo”.
 
UN UOMO                Sì l’ho sentio nel friggere d’una radio
                                   Aleppo liberata dai Dàesh…
 
UNA DONNA           e saremmo forse noi a far postazioni,
postazioni Daèsh,
                                   i terroristi, le terroriste
                                   e sarebbero forse terroristi
                                   i bambini, i nostri esili bambini?
                                  
CORO                       E gli ospedali sono al collasso,
                                   i medici impotenti,
balle la liberazione!
                                   Liberi d’essere occupati, ecco morti:
                                   noi carne in mezzo, carne  di mezzo
                                   negli ultimo giorni più di cinquanta
                                    Anche di cento al giorno  le volte
                                   che i grand’uccelli grigi
                                   hanno aperto le loro pance nere.
 
UN UOMO                E ora siamo liberi
                                   Liberi da che? Ditecelo qui ora.
Liberi  di salire sui bus!
 
UNA DONNA           I bus sono già pronti nella piazza
                                   e  i  soldati con i mitra spianati
                                   stanno  d’attorno e poi via… dove?
 
(I componenti del coro raccolgono valigie poste alle loro spalle e in corteo molto lentamente s’avviano fuori scena …verso gli autobus. Da lontano mentre il coro esce rusuonanoi clacson in frenetici richiami alla partenza ma anche musiche da ballo di festa)      
 
SCENA PRIMA / LO SPUMANTE DEI LIBERATORI
 
(Maestra e una Donna - Mentre continuano a echeggiare i suoni dei clacson e musica festosa, entrano prima la Maestra e subito dopo una Donna affannata, quest’ultima ha in mano due coppe di vino)
 
UNA DONNA           Finalmente eccoti
                                   ho corso dalla piazza fin qui, stanca
                                   ma con gran voglia di festeggiare con te
                                   eccoti…
 
(la Donna porge una delle coppe di vino alla Maestra, che la prende ma non risponde all’accenno di brindisi della Donna)
 
UNA DONNA           Finalmente liberi, sì è finita!
 
MAESTRA               Liberi? Come fai?
                                   E come facciamo a dirci liberi?
                                   Io non ce la faccio
             e io ti dico davvero
            non ce la faccio per nulla.
                                   Ho un peso, un peso dentro
                                   che mi rode, che guasta…
                                   e come facciamo dirci liberi,
                                   se dentro nel profondo
                                   qui nel profondo sono, sei, siamo,
                                   qui nel fondo dell’animo siamo oppressi?
 
UNA DONNA           Ma è finita, finite!
 
MAESTRA               Taci e bevi da sola
 
(la Maestra restituisce alla Donna la coppa di vino)
 
MAESTRA               Sai che dicevano, un tempo, i vecchi?
                                   L’ho  imparato là all’università.
                                   I sapienti dicevano che l’albero,
                                   dico l’albero della libertà,
                                   può conoscere un unico concime:
                                   un gran misto di sangue:
il sangue aggrumato dei tiranni
                                   e quello ribollente degli eroi…
                                   Dimmi tu con la voglia di brindare,
                                   far festa e magari scalza danzare.
                                   dimmi tu chi sono ora gli eroi?
                                   Chi sono qui i tiranni?
                                   Eroi e tiranni forse tra noi
                                    nel massacro di Aleppo?
                                   E il sangue dei civili qui sparso,
                                   di donne, di vecchi, di docili bimbi,
                                   tutti quanti innocenti,
                                   questo sangue che scuro si fa grumo
                                   a tutti i cantoni qui della cara,
                                   tanto amata Aleppo.
                                   E il sangue qui sparso
non posso credere sia concime,
                                   tanto meno può essere concime
                                   mah… dell’albero della libertà
                                   perché da quell’albero, già da tempo,
                                   siamo stati buttati giù, respinti,
disarcionati come fantocci,
                                   e lontano lontano trattenuti
da quei frutti mai conosciuti.
                                   Non credo si possa essere lberi,
                                   se, qui dentro nel fondo dell’animo,
                                   ci sentiamo e per davvero siamo….
                                    oppressi, perdio, schiacciati
 
(La Donna lascia cadere le due coppe)
 
UNA DONNA           Ma se la ragione fosse dalla tua
                                   se, ancora una volta, tu vecchia avessi ragione
                                   ora che dovremmo fare? Che scelta?
 
MAESTRA               Ora? Ora il capo chiniamo obbedienti;
                                   in questa nera guerra maledetta
                                   ci hanno messo di mezzo pure dio
                                   il nostro, il loro perché obbedissimo.
                                   Ogni guerra tiene il suo spumante
                                   e purtroppo, da sempre nella storia,
ogni guerra ha i suoi tappi… pum
                                   pum… pum saltano per aria pum
                                   e quei tappi, qui e ora, siamo noi,
                                   e millissimi, millissimi altri
                                   nelle millissime altre nere guerre
                                   maledette del mondo,
                                   sono stati tappi di mille bolle
                                   bolle di libertà, pum…
 
UNA DONNA           Sì, ma ora?
 
MAESTRA                           qui, meste, chiniamo il capo
                                   perché così, lontano,  han deciso:
                                   e facciam pure queste valigie…
                                   Mi fanno ridere… sì… le valigie!
                                   ma cosa ci mettiamo dentro
                                   in queste stramaledette valigie!
                                   Forse che lì trovano spazio i pianti,
 le grida, i lamenti, la gran rimbomba,
                                    o forse ci sta il bel sole di Chama?
                                   Graffiato giù là nel rifugio
che è tutto una puzza?
                                   Difficile è lo stipare brandelli
                                   sangue, rabbia dentro vecchie valigie,
                                   ma andiamo, qui riuniamoci tutti…
                                   senti, senti qui i clacson dei bus
                                   strombazzano, strombazzano… che guasto!
                                   … che guasto dentro … non ne posso più,                                                              andiamo a prepararci, così è detto,
alla libertà… che inganno, la libertà!
 
(La Maestra prende sottobraccio la Donna ed escono)
SCENA TERZA/DENTRO LA GRAN FESTA
 
 (Entrano Medea e Kalem, siedono nel mezzo della  scena esattamente come alla fine  del  primo atto)
 
MEDEA        Guarda che gran festa  qui tutt’attorno…
                        non riesco qui proprio a comprendere
                        come tutti possano festeggiare…
                        faccio fatica, io fatico            sentirmi
parte di questa gran festa stupida,
                        fatico… non solo perché straniera…
                       
KALEM        Hanno cacciato, così ci dicono,
 i terroristi del califfo nero…
                        ma dentro ci han messo proprio di tutto
                       
MEDEA        Di tutto? Anche chi non sapeva nulla?
 
KALEM        Ma magari proprio nulla no:
                        tutti quelli che stanno contro  Assad
 
MEDEA        Ho proprio visto con questi miei occhi
                        la gente,
 
(a parte interrogandosi dubbiosa)  felice?,
danzare scalza, sì scalza
                        pure sulle macerie tutte punta
ma come è possibile  
con tutti i guasti che ci sono qui?
 
KALEM        Ma tu come fai a non comprendere
che la gente era spossata, distrutta
stanca di vedersi piovere addosso
ogni giorno, ogni ora bombe
quei bidoni dal cielo di morte
assediati per anni oscuri
Per lo più, sì, innocenti
non colpevoli di nulla, civili…
 
MEDEA        Comprendo … non comprendo.
 Io che qui dispersa quasi per caso
una dispersa dall’oscura storia,
nella storia lasciata qui dagli altri,
da me stessa … a gattoni
 
(Come le stesse sfuggendo qualcosa da non dire, da non confessare)
 
KALEM        Da chi?
 
MEDEA        Lasciata, sì,  dagli altri
come pacco dimenticato lì
in una stazione di second’ordine,
dove ci stanno, se ci stanno,
panche di ferro fredde,
una di quelle dove i treni mai fermano
e dico mai perché si le cono…
 
(Come le stesse di nuovo sfuggendo qualcosa da non dire, da non confessare)
 
non si fermano: solo vento in faccia
ancor meglio come sasso sfuggito
di mano a un bambino,
o forse lì gettato a bella posta
giù dal ponte di un grande fiume,
dove  di sotto l'acqua scorre e rode:
e non sai quanto prenda oppure
di sotto lasci raggrumare ai ferri
e rendere precario il ponte.
 
KALEM        Ogni tanto, spesso,  mi sembri  che
 
(quasi con tenerezza)
 
conviva, o meglio, voglia convivere,
                        come fosse una scelta tutta tua,
                        con una gran follia visionaria,
                        partecipe di un dolore che rode,
                        ti soffoca,  ti ammala, ti spossa
                        ma che tu non riesci a comprendere,
                        ad afferrare, e ti stai  dispersa
                        dispersa qui in Aleppo
                        ma anche nella tua testa sconvolta
                        chi sei dunque tu, una volta per tutte?
 
(Medea  si mette a frugare nella borsa,   ne estrae un foglietto,  legge fra sé con attenzione,   lo stropiccia   e lo ripone nella gran borsa.  si alza in piedi, prende una posizione come se volesse declamare,  recitare…)
 
MEDEA        io son Medea di Eete  la figlia
                        e sorella di Apsirto
                        e maga, io,  nipote di gran maga…
 
(Kalem le tappa la bocca con una mano)
 
KALEM        e basta, ma basta con questa storia
                        e chi ti credi?  una divinità?
                        Mah… piovuta davvero qui per caso
                        nelle disgrazie tragiche di Aleppo
                        e fai vedere,  lascia vedere,
                        e dai una buona volta per tutte,
                        cos’è che tieni nella tua borsa…
 
(Kalem, che nel frattempo si è alzato cerca di afferrare borsa di Medea,  che con una reazione violenta difende la borsa stringendola  al  petto).
 
MEDEA        Lascia stare la borsa
                        non azzardarti a toccarla, lasciami
                        non  guardare  qui  dentro ti supplico…
                        Ora lasciami andare
 
(Meda si alza)
 
MEDEA        Andrò all'ospedale tra i bimbi soli
                        tra gli altri feriti innocenti
                        Vedi sono tutti pronti a danzare,
                        ballare, cantare chiudere le valigie,
                        click poi via!   Là sui bus… liberi?
 
KALEM        Ma cosa vai a fare tu laggiù?
                        Dall'ospedale stanno sbaraccando
                        e tra poco non ci sarà nessuno
                        perché proprio vuoi andare fin  là
a fare solo da intralcio?
 
MEDEA        Ma gli orfani,  una tenera bambagia
                         chi mai andrà lì e li reclamerà?
                        Cercherò là i  miei  Mermero e Fere
                        e di nuovo madre diventerò
                        e… e… e…
 
(Come le stesse di nuovo sfuggendo qualcosa da non dire, da non confessare)
 
                        una madre consunta dal dolore
Una madre dispersa
per queste terre qui arse dalla sete
una madre, non madre, io Medea,
lasciata, caduta, forse scaduta
come una moneta già fuori conio.
E poi… poi, non comprendo… nulla…
 
(Medea s’allontana da Kalem, rovista nella borsa, ne estrae un fascio di fogli pinzati, sfoglia, allontana con un gesto fermo e quasi imperioso Kalem, che cercava di avvcinarsi a lei, sfoglia e comincia a leggere e contemporaneamente andare a braccio)
 
MEDEA        E poi… poi, non comprendo… nulla…
Ma certo hai ragione da vendere
mia cara nutrice…
 
(si corregge subito)
 
cara tu infaticabile maestra
che qui mi hai resa partecipe
del grande radioso sogno di Chama
e non sbagliano le tue parole
quando sciocchi, ignoranti chiami gli uomini
che hanno inventato grandi inni per feste
e così per simposi e gran banchetti
canzoni per rallegrar l’esistenza.
E giù canzoni e balli ora in Aleppo
per rallegrar questa specie di pace,
di tregua, che qui non si può lasciare
nel gran silenzio nero della morte,
dopo la rimbomba e il tragico sfascio
fatto di sete e di bombe.
E come è possibile pensar solo
che qualcuno, neppure l’invenzione,
 sì dico qui l’invenzione d’un dio
possa trovare l’arte per placare
il gran dolore di dentro la gente
quelli grandi orribili collettivi,
quelli grandi orribili domestici,
quelli grandi orribili intimi, tetri
possa trovar l’arte per placare
questi dolori con la musica
e il levare lieve del piede in danze
 
(visibilmente leggendo, visibilmente recitando)
 
            Ma nessuno dico nessuno qui
 ha trovato qui  l'arte di acquietare
 il dolore tra noi con la musica,
 con le melodie leggere nelle stanze
e  di conseguenza la morte
e altri luttuosi  terribili eventi
si abbattono sulle case.
 
(di nuovo anche a braccio)
 
Tu che ne pensi Kalem?
Forse non sarebbe un gran guadagno 
per gli uomini curare i mali con i canti,
ma lontano, per dio, dai banchetti,
perché trilli e gorgheggi non servono
dove ci sono tavole ben imbandite.
Io sì che  li vorrei, ma qui i canti
per queste macerie grigiastre,
lì dove i vecchi e le donne dicono
ci fosse la scuola di Al Shibani
o più in là il Shabha, gran mercato
dove la gente era solita incontrarsi
ora rasi al suolo: deserti monconi
di una città morta, svuotata.
 
KALEM        Calmati perdio…
 
MEDEA        Lascia, lasciami dire…
            Lì ci ho visto un cane,
            faticava di molto alla catena,
            zampettando lento tirando appresso
            un pezzo di stipite a cui certo
            era legato prima che la casa
            venisse giù bombardata e disfatta;
            e cercava, cercava quel cane
            nella polvere l’odore del padrone…
            Anch’io mi sento un cane,
            una cagna dal ventre molle, vuoto,
            non cerco di certo padroni
            ma un’utilità, un’utilità qualsiasi
d’essere qui viva,
            che forse essendo la vita qui e altrove
            un guasto, un continuo travaglio
            per gli altri la morte sarebbe
            un hangar desiderato… bello perfino
            ma io gettata o spersa
            per queste tetre vie
            per, diciamo,  divino capriccio perverso….
 
KALEM        Smettila, smettila ti prego
 
(Kalem le si avvicina quasi come ad abracciarla, Medea lo respinge quasi seccata, tace per un breve momento, poi visibilmente recitando, riprende il filo del discorso con qualche fatica)
 
MEDEA        Lasciami… dicevo … dicevo…
                        Ah sì … dicevo…
Non sarebbe un gran guadagno 
per gli uomini curare i mali con i canti,
ma lontano dai banchetti,
perché trilli e gorgheggi non servono
dove ci sono tavole ben imbandite.
Io sì che  li vorrei, ma qui i canti
per queste macerie grigiastre,
ma li vorrei per scongiurare futuri
e non per sedare passati…
 
(Medea ripone alla rinfusa i fogli nella borsa, si aggiusta i capelli, si ricompone)
           
            … ora devo andare, l’ospedale m’aspetta
           
KALEM        Lascia stare l’ospedale
                        vieni con me anch'io ho voglia
                        voglia di festeggiare e poi
                        devo pur fotografare, fissare
                        la gioia,  il ballo della gente…
                        Andrò tra la gente di Aziziya,
                        gente armena cristiana,
                        che ha fatto l'albero più alto
                        credo di tutta la Siria,
                        Ieri sera c'era la banda
                        tutti  giovani armeni
                        E c'erano più musulmani che cristiani
                        e questo non ti sembra bello?
                        Non sei tu che vuoi canti e balli
                        per far diversi i futuri
                        e allora provaci… provati
 
MEDEA        Vai vai pure alle tue feste
                        io non sono nulla
                        nessun Dio mi ronza per la testa
                        io vado all'ospedale
                        credo ci sia molto da fare…
 
KALEM        Arrangiati, io vado, ci vediamo stasera
                        ma prima toglimi una curiosità,
                        per favore, cosa erano quei fogli,
                        che in mano reggevi
                        e forse a pezzi leggevi
                        nella tua follia eri leggera
                        sembrava facessi teatro?…
 
MEDEA        Certo far teatro per questi disastri
in questi fumi di morte, di stupidità
che stupidità! Anche il teatro
si fa arido, tutta l’arte si svuota
quanto riguarda i fogli non saprei… non so
                               me li ha dati Abdul-Baasit il guardiano,
                        il guardiano grasso dei cessi…
 
(Medea si avvicina a Kalem gli sfiora una guancia con le labbra, Kalem l’abbraccia e i due, dopo un attimo di esitazione si baciano, Medea lascia cadere nell’abbraccio la sua borsa. Dopo l’abbraccio si staccano)
 
KALEM        A stasera, dal vecchio delle auto,
                        dicono abbia l’intenzione
                        di tornare presto tra le sue macchine.
Ora che questa specie di pace
è tornata e ci sovrasta, ci occupa
riprenderà la sua attesa indifferente
del mutamento, della morte, forse
Se riesci porta da bere, ciao
 
(Kalem esce, mentre Medea s’accuccia a prendere la borsa e a rimettere dentro qualche oggetto uscito nella caduta durante l’abbraccio, tra gli oggetti ripone, quasi senza darci peso, un boccettino)
 
MEDEA        Sì da bere e poi nel letto del vecchio
                        a fare sesso, come se il farlo
                        mettesse fine ai guasti di dentro
                        e invece lo faccio per voglia,
                        magari per poi dormire rilassata,
                        io che vittima del sesso sono stata,
                        e vittime innocenti dicono abbia partorito
sono stanca, stufa marcia
di sentir dire che il sesso
è voglia di eternità…
che facciano, che erigano pure
alti, ipocriti, stupidi reticoli
attorno al sesso e alla morte
                        e andate in pace per sempre
con la vostra cattiva coscienza…
                       
 
(Medea si alza, mette a tracolla la borsa ed esce dalla parte opposta di Kalem)
                       
 
 
SCENA QUARTA/ LA PACE
(Entra il coro)
 
CORO                       Tornata dunque, si dice, la pace
                                   Siamo qui sospesi… in una … sorta
 
UNA DONNA          Dici bene una sorta di pace…
 
CORO                       In realtà si pensava, si diceva
                                   che siamo qui sospesi in una sorta
                                   di limbo tra rovine e speranze
 
MAESTRA               Le rovine, le macerie le tocchi,
                                   e già in qualche luogo l’han rimosse,
                                   son cose, che fan dolore… sì
                                   ma son cose e sai dove stanno.
                                   Oggi sono stata alla gran moschea,
                                   sì alla vecchia moschea di Omayyadi
 
UN UOMO                Anch’io ci sono stato, ieri e oggi
                                   un dolore che prende tutto il petto
                                   lo comprime, l’affanna, il vedere
                                   tutto in frantumi e più in là,
                                   rivolto come uno scellerato insetto,
                                   con le zampe/ruote all’aria
                                   un carro armato di Assad,
                                   uno scarafaggio di morte
 
MAESTRA               Dici bene, quel carro armato rivolto…
                                   E proprio lì accanto a quel simbolo
                                   di morte e guerra e ancora morte
                                   ho raccolto questo pezzetto, questa cosa
 
CORO                       Fai vedere, fai vedere….
 
MAESTRA               Ma che volete vedere, indietro
                                   è un pezzetto del gran minareto, forse
                                    ora non è neppure un sasso
                                   è polvere raggrumata grigiastra
nel suo essere squassata,
                                   ma comunque è cosa,
                                   fragile, friabile quanto volete
                                   ma conserva una sua dimensione
                                   una sua, pur arrendevole, corposità,
                                   ma datemi ora voi,
o chiunque pensi di potermela dare,
la corposità della speranza,
                                   anche la minima corposità,
                                   ma comunque che mi dica che c’è,
                                   che tocco, che posso…
 
CORO                       Ma sperare che la guerra sia finita
                                   ed averne quasi certezza
                                   non è forse una gran gioia?
 
MAESTRA               Ma che dite, bestemmie, forse?
                                   Una gran gioia ancor più friabile
                                   di questa polvere raggrumata grigiastra
                                   che era pietra del gran minareto,
                                   una gioia, che non puoi toccare…
                                   Sperare nella pace, che vuol dire…
                                   se come dicevano i vecchi
                                   spetta a chi la concede
                                   e non a chi la chiede o la vuole,
                                    come siamo noi qui a chiederla,
                                   implorarla, volerla
                                   a dettare le condizioni,
                                   a noi, che stiamo innocenti,
                                   innocenti sì, nel mezzo del male
                                    e che possiamo credere, sperare?
                                   E ora lasciatemi andare
                                   che ho promesso a quella matta
                                   che dice di esser Medea,
                                   di darle una mano ad accarezzare,
                                   sostenere, quei bimbi mutilati,
che nessuno verrà mai a reclamare…
 
(La Maestra esce decisa a destra, gli altri chiacchierando, quasi un bisbiglio, da cui si cogli un insistito “speriamo” escono dalla parte opposta)
 
SCENA QUINTA – MEDEA, DONNA, MADRE, ATTRICE
 
(Entra Medea, che si colloca al centro, accovacciata come cercasse, con affanno, qualcosa nella borsa poi estrae alcuni fogli e si mette a leggere e proseguendo a braccio, rispettando lunghe pause durante le quali sembra leggere altro testo e mormorare solo alcune parole, appartenenti ad altri personaggi di un copione conosciuto e sofferto,. Ormai è scomposto ogni confine tra realtà, dominata dalla paura, e finzione, dominata dalla follia)
 
MEDEA                    Sono stanca, stufa marcia
                                    Ahimè! Ahimè maledetta
                                    Ahimè misera! Me sventurata!
                                    Quali pene! Oh, potessi morire!
                                    (a braccio)… qui in questa dilaniata città,
                                    quasi fossi abbandonata
                                    come vecchia moneta fuori conio
                                    qui sull’estremamente labile
                                    sottile, leggero confine
                                    tra apparenza e realtà
                                    (legge) Ahimè! Ahimè maledetta
                                   Ahimè misera! Me sventurata!
                                   Quali pene! Oh, potessi morire!
                                   (a braccio) Anche oggi nell’ospedale
                                   distrutto, là in fondo ad Azaz,
                                    la gente mi ha chiesto
                                    chi fossi straniera
                                   che per questi lutti si agita…
                                    Non so, non saprei,
                                    Potrei forse continuare
                        con la mia snaturante litania:
                                    io son Medea di Eete la figlia
e sorella di Apsirto
e maga, io, e nipote di gran maga
ripartorita a nuovo
dalle cosce fetide del potere
 nelle funeste disgrazie di Aleppo.
 
(legge quasi fra sé )
 
Della madre il cuor s’agita, l’ira
si ridesta…
 
(a braccio)
 
 e qui, qui d’intorno
s’agita l’ira, ma difficile è tornare
per questi immondi scempi
a quella che son io, che neppure so:
donna, madre, attrice.
Donna che non sa se non il sesso
che rasserena fatto con Kalem,
là nel letto del vecchio delle auto
che ben presto tornerà a stare indifferente
a ciò che lo circonda
nell’attesa del mutamento,
in attesa, forse, della morte stessa
oppure sono la madre ripugnante
di Mermero e Fere, teneri figli
e vedo ancora le loro manine
là tese nella gioia tradita…
o qui per le corsie malmesse
degli ospedali che vengono giù.
Di certo sono donna e madre e attrice
al contempo; sì attrice dispersa,
uscita da sotto un torpedone,
salva, ci hanno fatto scendere i Daesh
dal pullman della compagnia,
nella confusione di sotto io,
gli altri tutti uccisi, nella terra rivolti,
allontanati gli assassini
quieta a gattoni sono sortita
e tra i corpi inanimati ho girovagato
con una pietà che non mi conoscevo,
e poi folle madre mi sono inventata
di nuovi bimbi, bambagia dolore,
ora qui per neri, umidi scantinati
penetrati, spazzati, distrutti
e di quei loro quanti inconsciamente
m’han fatta madre
perché nel ventre mi bruci il dolore,
un dolore mai conosciuto
se non nelle righe contorte
d’un copione mandato a memoria…
Ah lo strazio di quelle labbra private
dall’alito giocoso della vita…
 
(legge e al contempo a braccio)
 
 Questo è ciò, fig1i miei, ch'io temevo.
… che ben presto, con alto furore
scoppierà questo nembo di gemiti
e io donna, madre, attrice
o forse per davvero solo folle
e per dolori smarrita non posso
mio dio non posso ignorare pietà.
 
(recitando)
 
Ahimè!
Ho patito, patito sciagure
d’altri gemiti degne.
 
(getta i fogli attorno a sé e poi rimettendo tutto nella borsa)
 
                                   Tu caro Abdul-Baasit
                                   che lì rimani nella guardiola dei cessi,
                                   tu che mi ridai, a nuovo mi disegni,
                                   per questi fogli vecchi di copione,
                                   la via per tornare in me,
                                   ma sofferente son Medea davvero
                                   una Medea quasi per caso,
                                   gettata nella pena di Aleppo
                                   e conosciuta come donna la maternità
                                   di Chama la dolce, la tenera,
di Chama che, nel fosco raggrumo
di macerie a ogni cantone,
catturava la gioia di brandelli di sole
per ridarli, graffiati, nel buio
lì sotto del rifugio paura e speranza…
… perché non c’è paura senza speranza
né speranza senza paura.
Credo, per dio, credo che
che tra paura e speranza
sia davvero labile, impalpabile,
il confine e che basti poco,
per precipitare tutto in terribili,
terribili guasti privati e collettivi.
E questo confine così impalpabile
è mobile, come se una malefica ombra
partorita da dei o da potenti
fosse appostata in qualche luogo
dico luoghi dell’emerso o dell’immerso,
si diverta a muovere, anche…
anche solo di poco, impercettibilmente
forse poco più fi un’unghia
il confine tra paura e speranza
e a suo agio dia morte o conceda,
magari per poco, altra vita…
… e maledico dei e potenti
per non avermi dato e concesso
dieci, cento, mille mani
per far carezze dolci da madre
a questi bimbi per strada abbandonati
o nei rifugi o non reclamati
dagli ospedali in fiamme.
 
(Medea esce)
 
SCENA SESTA – LA NORMALIZZAZIONE
 
(È trascorso circa un anno dai  precedenti accadimenti. Entrano coro e, poco dopo, la Maestra, tutti hanno ombrelli aperti)
 
CORO                       Guardate il cielo lassù
                                   oggi pioverà per tutta la giornata
                                   e sembra che non si leverà
                                   alcuna bava di vento…
 
UN UOMO                Oggi di certo pioverà a lungo
                                   e neppure si alzeranno
                                   modesti rifoli di vento
 
CORO                       Sarà dunque una buona giornata
                                   in cui si potrà respirare
                                   senza bende sul viso.
 
UNA DONNA           È quasi un anno ormai di…
                                   Le strade sono state ripulite,
                                   non più il grigiastro delle macerie
                                   frantumate dai carri armati
                                   di Assad e russi quando
                                   quando ci hanno liberati…
 
MAESTRA               Liberi di essere ombre,
                                   tra ombre di case e cose,
                                   e se oggi pioverà a lungo ben venga
                                   leveremo senza levar polvere
                                   il grigio fumoso dalle nostre case,
                                   dai negozi del suck.
 
UN UOMO                Già il suk è stato il primo
a farne le spese
e noi e le nostre robe
fatti a pezzi, di dentro e di fuori,
io c’ero quel maledetto giorno
 
MAESTRA               Ricordo bene come era il suk
                                   prima di tutto il gran guasto,
                                   prima dell’arrivo dei ribelli,
                                   proprio come dicono i giornalisti,
                                  
UNA DONNA          Spariti anche quelli
 
CORO                       Tornano qualche volta soltanto
                                   e scrivono delle briciole,
                                   delle minutaglie rimaste
                                   della ricca, famosa, Aleppo…
 
UN UOMO                Sì ma noi carne e sangue
                                   siamo solo istogrammi per grafici:
                                   quanti eravamo prima,
                                   quanti siamo adesso,
                                   quanti, forse, i ribelli,
                                   quanti, forse, i fan di Assad…
 
UNA DONNA          Sì stanghette colorate
                                   per i loro grafici tutti inquadrati,
                                   per benino, benino
                                   ma dei guasti che dentro ci rodono,
                                   ci opprimono: vedove,
                                   donne a cui i figli hanno tolto,
                                   prigionieri, morti… spariti
                                   dei guasti che lacerano i ventri
                                   neppure un cenno? Più nulla?
 
MAESTRA               Ricordo bene come era il suk
                                   prima di tutto il gran guasto,
                                   prima dell’arrivo dei ribelli,
                                   proprio come dicono i giornalisti,
                                   Tappeti, broccati, profumi:
                                   un’infilera lunghissima,
                                   la luce che veniva giù dall’alto
 
UN UOMO                In qual maledetto giorno del 2012
                                   un giorno caldo di luglio,
                                   io ero là al suk
                                   affaccendato nei miei negozi,
                                   nel bel mezzo del ramadan,
                                   quando arrivarono, là tra le merci
                                   in bella mostra, dorati cascami,
                                   i primi, staffette, avanguardie
                                   del Libero esercito siriano,
                                   prima ci minacciarono di bruciare
                                   di bruciare tutto il suk,
                                   se non ce ne fossimo andati subito,
                                   ma noi non abbiamo voluto chiudere,
                                   sapete tutti che nessuno ci credeva…
 
MAESTRA               Sì, sì qualche manifestazione,
anche violenta a Damasco,
                                   ma chi mai avrebbe potuto credere
                                   che qui ad Aleppo, l’onnipotente Aleppo,
                                   da quel mese di luglio, l’inferno,
                                   si sarebbe scatenato su di noi,
                                   rimasti, come dire, nel mezzo…
 
UN UOMO                Nessuno ci credeva
                                   ma loro, sarà stato il pomeriggio,
                                   sono tornati e tutto hanno bruciato
                                   merci e negozi, negozi e merci.
                                   E lì nel suk stesso hanno eretto
                                   tirato su muri, quasi uno addosso
                                   quasi uno addosso all’altro:
                                   da una parte i ribelli, dall’altra,
                                   dall’altra a dieci passi non di più
                                   i soldati di Assad…
                                   Da quel maledetto luglio di ramadan
                                   da quel giorno l’inferno,
                                   di qua e di là morti e sospetti.
 
UNA DONNA          Per fortuna continua a piovere
                                   così senza la paura di respirar polvere
                                   potremo spingerci fin là
                                   davanti a ciò che a monconi rimane
                                   delle nostre vecchie case…
 
 MAESTRA              Andate, andate pure fin là
                                   a compiere un estremo atto.
                                   prima che le ruspe abbattano il rimasto,
                                   un atto estremo di presenza
                                   di pura semplice presenza,
                                   andate, andate…
 
(Il coro esce e la Maestra rimane solo in scena con l’ombrello aperto sopra il capo)
 
                                   Non può essere, infatti, che solo
                                   un atto di pura presenza,
                                   che non può essere un atto d’amore
                                   per la cara vecchia Aleppo,
                                   per il suo intrico di viuzze,
                                   no non può essere un atto d’amore
                                   perché ognuno di noi
                                   è stato nel fondo prosciugato
                                   reso arido, assetato.
 
(La Maestra chiude l’ombrello e rimane sotto la pioggia)
 
                                   Che almeno questa pioggia
                                   mi lavi, mi penetri, mi allaghi,
                                   mi renda meno arida
                                   mi restituisca almeno un briciolo
                                   di voglia di amare…
 
(La Maestra sta sotto l’acqua per qualche lungo momento, muta, le braccia, con l’ombrello teso aperte, predisposta all’allago. Poi riapre l’ombrello)
 
                                   Questo cielo dice che pioverà
                                   ancora per molto… forse
                                   per una o due notti ancora…
                                   Sarà certo contento il vecchio
                                   vecchio, pazzo e collezionista
                                   di macchinoni americani
                                   per stasera ci penserà il cielo
                                   a rendere lucide le sue figliole…
A lui non importa di nulla,
neppure della guerra gli importava,
                                   né di qua, né di là
                                   l’attesa indifferente
                                   della pace o della morte
                                   non l’infastidiva,
                                   diceva che in un caso o nell’altro
                                   arrivata sarebbe la quiete….
                                   La quiete, la quiete, la normalizzaione….
 
(La Maestra esce)
 
SCENA SETTIMA/ IN CERCA DI MEDEA
 
(Piove ancora entra la Maestra, con l’ombrello aperto, è agitata, guarda in giro da tutte le parti)
 
LA MAESTRA        Ma dove si è cacciata quella
                                   l’ho cercata fin su alla moschea
                                   alla vecchia moschea di Ommayadi,
                                   eppure non deve essere lontana
                                   ha lasciato qui intorno
                                   sui pochi brandelli di muro
                                   rimasti fragili all’impiedi
                                   i fogli scritti a mano storti,
                                   in cui diceva che qui sulla piana
                                   avrebbe recitato Medea di Euripide.
Pazza è sempre stata da quando
è capitata qui dentro la guerra,
senza che nessuno ce l’abbia chiamata
qui, fuori di sé con il suo
“Io son Medea di Eete la figlia
e sorella di Apsirto
e maga, io, e nipote di gran maga
ripartorita a nuovo
dalle cosce fetide del potere
 nelle funeste disgrazie di Aleppo”
 
(La maestra s’accorge che ha smesso di piovere, chiude l’ombrello)
 
Le conosco bene quelle parole,
le ho dentro qui impiantate in testa.
Ma ora mi sembra presa
dal toboga infernale della follia
completamente persa.
Ora che Kalem se ne è andato,
ed è tempo ormai che è partito
e le sue foto hanno fatto il giro,
il giro del mondo su Face Book
e su giornali, riviste
e soldi ne ha fatti e tanti,
ora che Kalem se ne è andato
e il vecchio delle macchine
è tornato a occupare e il suo letto
e a sentire la sua musica,
Medea, non so altro che Medea,
per chiamarla, per dirla,
è tornata ad aggiaccarsi
sul carretto di  Abdul-Baasit,
il guardiano dei cessi.
Sul carretto di tutto ci ha messo,
vecchie valigie di cartone
forse abbandonate in qualche
angolo stretto delle viuzze
strette, strette del Medioevo
solo macerie gonfie,
come piccoli monti,
delle case tirate giù dal cielo…
… della casa dove nacqui
son rimasti solo monconi
che poco trattengono
i giochi, le gioie dell’infanzia
dove nella corte si giocava il mondo
e le madri filavano l’orgoglio
l’orgoglio d’essere siriane.
Medea ci ha messo proprio,
proprio di tutto su quel carro
piccolo e stretto, che dal davanti
per le stanghe a fatica trascina
come fosse bestia malata.
Ci ha messo, povera folle,
quelli che ritiene essere
i suoi nuovi Mermero e Fere,
li tiene coperti con un lenzuolo
preso all’ospedale
a quello vecchio abbandonato,
li tiene coperti con un lenzuolo
per non farli vedere,
teme che  possano toglierleli,
ma dove mai si è cacciata?
Forse in qualche corte,
di quelle nuove e tristi,
a recitare sconclusionati brani
della Medea di E…
 
(Si ode distinta una scarica di mitra, la Maestra si ferma, si guarda in giro smarrita)
 
                                   Che succede? Ancora,
                                   ancora si spara per le vie?
                                   Tornati i ribelli ad Assad,
                                   o i suoi fedeli a regolar di conto?
 
(Un colpo di pistola fuori scena – La Maestra si mette le mani sul viso e rimane in scena )
 
SCENA OTTAVA – MEDEA E IL SUO CARRETTO
 
(In scena la Maestra, poi una donna, poi tutto il coro e più avanti Medea trascinando a fatica il carretto, Medea avrà dissimulato le proprie apparenze con una parrucca lunga e nera)
 
MAESTRA   Ancora dunque si spara
 
(Entra una donna, seguita dal coro. La donna urla in modo straziante e si getta ai piedi della Maestra)
 
UNA DONNA          Hanno… hanno… hanno
 
MAESTRA   Calmati, calmat, perdio
                                   che è successo… gli spari…
 
UNA DONNA          Sì gli spari…
 
CORO                       Sì tutti l’abbiamo sentita
                                   la scarica di mitraglia 
                                   veniva, veniva dal gabbiotto
                                   dei cessi pubblici,
                                   e là tutti siamo corsi…
 
UNA DONNA          Siamo tutti giunti in tempo
                                   per… per… vedere
 
MAESTRA   Cosa?
 
UNA DONNA          Lo strazio di Abdul-Baasit
 
CORO                       Gli hanno sparato un colpo alla tempia,
                                   i regolari di Assad
 
UNA DONNA          Non era bastata la raffica
                                    terribile del mitra
 
CORO                       a finirlo lì per terra
                                   sedia e tavolino rovesciati,
la birra dappertutto
si colorava rapidamente
di rosso…
 
UNA DONNA          … del rosso del sangue
                       
MAESTRA               Ma…
 
CORO                       Han detto fosse un partigiano
                                   dei Daesh contro Assad
                                   aveva in mano i suoi giochi
                                   di parole incrociate…
 
UNA DONNA          A chiudergli gli occhi
                                   Medea buttata su di lui
                                   e i soldati a cacciarla lontano
                                   con il calcio dei mitra…
 
LA MAESTRA        Perdio, andate a prenderla,
                                    vi imploro portatela via
                                   e che i soldati non le facciano male…
                                   andate, andate…
 
(Il coro e la donna escono, dopo qualche attimo si sente un vocio indistinto sempre più vicino. Entra Medea sporca di sangue sul petto. Tira il carretto, su cui si possono distinguere due sagome di bimbi coperti da un lenzuolo. Dietro lei tutti gli altri)
 
MEDEA                               Ahimè!
                               Ho patito patito sciagure
                               d’altri gemiti degne. O figlioli
                               maledetti di madre cagna
                               …
                               … qui ritrovati per fanghi
                               deh possiate…
                               possiate non vedere
                               possiate non ascoltare
                               questi gemiti senza limiti
                               in cui Aleppo continua
                               senza sosta continua a rovinare
                               … ebbene sì
                                tutta vada la casa in rovina!
 
UNA DONNA      Che mischia la straniera
                               nel suo dire?…
 
MAESTRA          Lasciatela dire, andare
                               nel suo labirinto folle
                               di estraniata, estraniante,
                               così come noi, identità
                               già mi accomuna il suo dire…
 
MEDEA                               Ahimè!
                               Sulla mia confusa testa
                               la fiamma celeste piombasse!
                               A che viver mi giova?
                               Ahi, ahi, sciogliermi, levarmi,
                               levarmi e sciogliermi nella morte
                               potessi, potessi ora
                               lasciar questa vita odiosa…
                               Ahimè!
                               Hanno ucciso Abdul-Baasit,
                               gli hanno sparato lì
                               nella sua guardiola dei cessi,
                               il bicchiere della bionda birra
                               sfuggitogli  di mano
                               e il liquido farsi rosso
                               nel mischiarsi di vita e morte…
                               Gli occhi aperti nel desiderio
                               di catturare l’estrema luce…
                               Glieli ho chiusi io quegli occhi…
 
CORO                   Sì  l’abbiamo vista tutti
 
MEDEA                               … e con la fascia nera
                               che la vita mi cingeva
                               serrato gli ho le mandibole
                               perché da quella bocca,
                               che per me filato aveva
                               cultura-miele filato,
                               non uscissero nere velature
                               di disperata morte.
CORO                   Così l’han lasciato a terra
                               ancora lì con la bocca serrata
                               perché da morto non potesse dire…
 
MEDEA                               Non potesse confondere
                               il suo profondo miele
                               con ciò che emerge forte
                               dalle storture della guerra.
                               … Ma non bene gli uomini
                               solo a prima vista giudicano,
                               senza conoscerne l’animo a fondo,
                               così con me dispersa qui
                               per questa terra di punte aguzze,
                               il torpedone della compagnia
                               lasciato ai margini di una via
                               dalla guerra inghiottito
                               e io atterrita ho girovagato
                               intimorita per scuri, contorti
                               labirinti di sofferenze
                               e qui son giunta confusa
                               confusa per ruoli e per vita.
                               Ben so che un ospite
                               deve conformarsi, plasmarsi quasi,
                               in tutto alla città che l’ospita…
                               Perduta io sono qui nella rimbomba,
                               smarrita la gioia della vita
                               ho rimandato fin qui la voglia,
                               la voglia disperata di morte,
                               l’ho rimandata girando
                               per queste strette viuzze d’un tempo
                               che di certo fu felice, ora non più
                               e fin giù nei rifugi
                               riscaldata nel profondo
                               dal graffiato sole di Chama,
                               e fin su nell’ospedale
                               nelle corsie malmesse della bambagia
                               a cercare i miei Mermero e Fere
                               tra i non reclamati orfani
                               e trovati li avevo, poi tolti strappati,
                               forse non degna, io straniera,
                               di stringere al petto
                               quei corpicini malandati, feriti…
                               … a Damasco li hanno portati…
 
MAESTRA          Altro fare non si poteva
 
MEDEA                Sì io la matta straniera,
                               ma ora che anche
                               Abdul-Baasit è stato ucciso
                               lasciatami sola
 
(urla)
 
                               Via, via di qua, sola
                               voglio stare sola perdio!
                               Per queste code di guerra
                               che ancora non hanno il sapore
                               il sapore pacifico del pane
                               o dell’acqua fresca che da sola sgorga
                               e non dalle tolle dei camion.
                               Via da qui me ne andrò a caso
                               con i miei nuovi Mermero e Fere
                               e che nessuno si avvicini
                               li tocchi, via, via!
                               Via, via di qua, sola
                               voglio stare sola perdio!
 
MAESTRA           Via, via tutti… Andiamo…
                               Temo che la sua recita
                               qui sia in sofferenza esaurita…
                               Non c’è più nulla da vedere
                               Andiamo
 
(Tutti escono. Medea rimane in scena accanto al carretto. Fruga nella borsa ne estrae un boccettino e sempre tenendo in equilibrio il carretto ne ingolla il contenuto. Poi da un colpo alle stanghe del carretto inclinandolo in modo da far cadere due bambolotti di ceramica che si infrangono a terra. Si siede accanto ai cocci, li accarezza… si toglie la parrucca nera)
 
MEDEA                   Non c’è più nulla per il rimando,
                               la guerra fuori e di dentro
                               non concede dovuti riposi
                               meglio crearseli…
                               Farseli con gran cure artigiane,
                               come fossimo attenti orologiai
                               che con pinzette e viti
                               aggiustano, di sovente invano,
                               le ore del mondo…
                               sì meglio crearseli                 
                               in attesa che passi un nuovo
                               maestoso e imperiale carro del sole,
                               che con le sua ombra
                               guasti e sciagure ricopra.
 
BUIO