UN CAMMELLO PER MUMBAI
Spettacolo rappresentato il 23 novembre 2014 presso La Casa di Alex in occasione della "Giornata internazionale contro la violenza di genere".
La notizia di cronaca: (ANSA) - NEW DELHI, 3 AGO 2014 - Un cammello vagabondo del Rajasthan ha creato per tre ore il caos nel sistema ferroviario indiano ostinandosi a camminare sui binari e bloccando cosi' la circolazione di almeno otto treni, molti dei quali dell'arteria fondamentale che collega New Delhi a Mumbai.
Un cammello per Mumbai
Ovvero domestiche violenze
SCENA PRIMA
( due sgabelli, uno sul proscenio a destra uno a sinistra sul fondo. A chiudere lo spazio, in fondo due attaccapanni, di quelli ad albero. Tutta la scena al buio tranne sullo sgabello di destra dove siede Hardeal)
Hardeal: Mi chiamo Hardeal, Hardeal Singh, ho quarantanove anni. Sono un bigliettaio delle ferrovie indiane sulla tratta che collega New Delhi a Mumbay.
Sono quasi due anni che faccio questo mestiere; beh, da quando sono tornato in India. Prima abitavo in Italia, a Milano, non proprio a Milano ma vicino… a Cologno.
Treni anche lì tutti i giorni; mattina e sera. Ma lì ero passeggero per molti anni. Treni verdi tutti i giorni da Cologno a Milano, da Milano a Cologno. Io, mia moglie aveva trovato lavoro a Cologno. Scusate, ma di mia moglie a chi può interessare? Dicevo, mi chiamo Hardeal, Hardeal Singh. Lavoro alle ferrovie indiane. Oggi mi sta succedendo un bel fatto, quasi comico direi, soprattutto per uno come me che s’è fatto un bagno nella cultura occidentale per oltre quindici anni. Pensate cosa mi sta succedendo intorno. Sentite le grida, sentite le sirene? no non potete sentirle, comunque tutto inutile.
Un cammello vagabondo del Rajasthan, proprio nello stato dove sono nato. Anche mia moglie è nata da quelle parti in un villaggio vicino al mio, tutti e due nel distretto di Kota; era bella mia moglie, bellissima. Ma no, che senso ha mia moglie col cammello. Già, il cammello sta creando un gran caos nel sistema ferroviario indiano ostinandosi a camminare sui binari e bloccando così la circolazione di almeno otto treni, molti dei quali dell'arteria fondamentale che collega New Delhi a Mumbai. Come il treno su cui lavoro io. Una bella bestia, l’ho vista, prima di rinchiudermi qui in attesa che qualcosa si sblocchi. Sarebbe piaciuto anche a mia moglie e anche ai miei figli, certo. Lasciamo perdere; dicevo: il cammello, bestia di due metri, che in Rajasthan è "animale di Stato", ha deciso di invadere i binari e ci fa la passerella.
Non c’è verso per mandarlo via.
(finge di scostare delle tendine e di guardare al di là di un immaginario vetro)
Vedete, è ancora lì, come gli si muovono le gobbe; chissà come sarebbero felici Chandana e Iravat, magari saltargli sulle gobbe, forse Chandana no, ha quasi vent’anni, beh sua madre, mia moglie, era già madre di lei da due anni abbondanti a quell’età, ma Iravat sì, ne ha dodici, ancora bambino, dodici anni: la stessa età di sua madre, Kali, quando mi sposò. Forse anche a Kali piacerebbe vedere il cammello. Non posso farci niente se mia moglie, anche i miei figli, ma lei su tutto, lei Kali, mi ronzano, mi ronza in capo, sempre. Mia moglie e la mia colpa sono un mal di testa fisso che mi prende dal mattino alla sera, quando non faccio il turno di notte, non mi lascia neppure di notte il mal di testa. Ma almeno quando lavoro, mi distraggo un poco: “Biglietti signori… biglietti…”, ci penso meno a ciò che ho lasciato in Italia. Ci voleva anche il cammello sacro che voleva andare a Mumbai a spasso sui binari del treno, del mio treno, a non permettermi distrazioni e così ecco che torna lei, sì nella mente, senza volto, non ho più il coraggio di vedere quel volto…
(si illumina, alle spalle di Hardeal, una figura femminile, con una maschera neutra a coprirne il volto, è l’immaginata Kali nel capo di Hardeal)
Kali Me l’ero pensato per bene il mio matrimonio. Una cosa alla grande. Non ne avevo mai visti, ma avevo sentito racconti… Il fuoco acceso sotto il Mandapa a testimone dei voti degli sposi, certo sognavo… poi tutto all’improvviso… mio padre e mia madre che mi chiedono di sedermi davanti a loro, attorno al tavolo grande. Mio padre che pone sul tavolo il Mahabharata, la nostra Bibbia, diciamo così, o se credete il nostro Vangelo, una roba così, per noi induisti. Con la mano sul libro sacro, interpretandolo a modo suo, ma in tanti in India, e nel Rajasthan in particolare, la pensano così, seppi subito che ero stata promessa in sposa con un vecchio di dodici anni più di me, un vecchio figlio di un collega di mio padre. Non mi lasciarono tempo, mia madre mi abbracciò e mi baciò, mio padre mi abbracciò e mi baciò. Le nozze tre giorni dopo.
Hardeal Non conoscevo Kali. Fu mia madre a dirmelo. Dissero che era una brava ragazza e che sarebbe stata una buona madre dei nostri figli. Non compresi subito quanti anni avesse. Non mi aspettavo un matrimonio imposto, non me lo aspettavo dalla mia famiglia, perché altrimenti nel mio borgo era cosa abbastanza frequente. Credo che a convincere i miei sia stata la promessa di una ingente dote da parte dei genitori di Kali. Io non ebbi tempo per riflettere o per obiettare e alla fine rifiutare un matrimonio, un matrimonio, un simile matrimonio, lo stabilire un’unione che la legge vieta, e allora fatto tutto di nascosto.
Kali Fui ceduta, anche se dietro non ci fu nessuna ricompensa, anzi i miei fecero sacrifici per mettere assieme la gran dote promessa, fui ceduta con una cerimonia di fretta per non dare nell’occhio. Il giorno prima, comunque, mi vennero dipinti i piedi e le mani con l'hennè, una sorta di addio al nubilato, come dite qui in occidente. Sì perché io qui da voi in Italia ci sono rimasta. Una cerimonia a cui solitamente partecipano le amiche e le parenti della sposa e poi… poi musica e gran canti d’augurio: per non dare nell’occhio, nulla di tutto ciò, solo l’henné su piedi e mani.
Hardeal Anch’io ci avrei tenuto al mio cavallo bianco con cui arrivare da Kali, che ancora non conoscevo, il giorno delle nozze come tradizione, invece tutto di nascosto per non farci beccare dalla legge.
(a parte) Ma lo dice il Mahabharata, dice “non attendere oltre” e si riferisce alle ragazzine che dopo tre anni dalla pubertà devono scegliere subito un compagno, altrimenti sono le famiglie a fare tutto. Ma Kali era diventata donna da meno di un anno. Certo qui sarebbe da spiegare tutto, parlare con voi, lasciare il mio treno in India alle prese con un cammello sacro, e dirvi delle superstizioni che ci fanno ingoiare con la scusa delle fedi, delle religioni, delle vacche e dei cammelli sacri, qui da noi. Tra i tanti lavori che ho fatto, ricordo, facevo da sguattero, pulizie e poco altro, in una casa ricca del centro a Milano. Lì ci stava la signora Giovanna, aveva un barboncino nano, la sua unica cura, il suo unico affetto, dalla mattina alla sera lo coccolava e lo ingozzava di caramelle, fino a che un giorno lo fece scoppiare, morire. Anche noi in nome della religione ci ingozzano; l’ho capito dopo, vivendo con la splendida Kali, che anche quello del matrimonio forzato era una caramella avvelenata che ci avrebbe fatto scoppiare, morire. Dico di una morte diversa, non fisica…
Kali Cominciai ad odiarlo dalla prima volta che lo vidi, cercai quasi di nascondermi, ma non avevo posti per farlo, mi nascosi dentro di me
Hardeal non una morte ma una costrizione ad essere aridi, privati, almeno lei, di qualsiasi sentimento nei miei confronti e io privato dalla possibilità di darle affetto e soprattutto farle capire che l’avrei sempre rispettata.
(Kali prende un lembo della sua gonna – o di un sahri o meglio ancora un foulard sulla gonna, in modo da potersene separare– mentre Hardeal raccoglie da terra una sciarpa arancio, se la pone al collo. Si avvicina a Kali che, tenendo in mano sempre il lembo della gonna/sahri, indietreggia. Hardeal con dolcezza prende il lembo del foulard e fa un nodo con il lembo della sciarpa. Pausa luce sul nodo. Sciarpa e foulard col nodo in mezzo vengono posti su due attaccapanni in fondo alla scena. Il nodo deve essere finto in modo che spostando di poco i due attaccapanni possa in seguito sciogliersi.)
Hardeal sposati, dunque
Kali dunque sposati
Hardeal Io da quando la vidi mi innamorai di lei, sarebbe diventata mia moglie, capii subito che ci sarebbe voluta pazienza, tanta pazienza…
Kali Io non smisi di temerlo, di odiarlo, ma ero sposata con lui e sarei stata moglie del, come dite voi, del mio papi, dodici anni più grande di me, io bambina , sì bambina
(buio)
SCENA SECONDA
(luce su nodo tra i due attaccapanni, i personaggi in scena. Buio. Luce su Hardeal)
Hardeal Dunque sposati, venticinque anni fa, come dite dalle vostre parti, nozze d’argento. Le nostre nozze imposte, io che l’amai appena la vidi, così bambina, così indifesa, così intimorita…
(luce su Kali, poi luce fissa sui due e sul nodo)
Kali Sposata ma continuai a odiarlo, nella mia ingenuità di bambina mi ostinavo a ripetermi: prima o poi finirà.
Hardeal Mi accorsi subito delle sue paure, dell’odio nei miei confronti che usciva dai suoi occhi .
(finge di riguardare dal finestrino)
Maledizione: il cammello è ancora lì, ma prendetelo a botte, a calci quell’animale divino, andate contro la religione. Cosa ha combinato a me la credenza religiosa… Via quel cammello, voglio riprendere a girare per le carrozze del treno col mio “Biglietti signori… biglietti”. Se non riprendo a lavorare il pensiero di Kali, la mia dolce Kali, mi farà scoppiare la testa. Feci di tutto per farle passare quella paura, della quale io non riuscivo e non riuscirò mai a prendermi colpa, quelle nozze furono imposte anche a me, sì, io adulto con quella bambina tanto, tanto piccola. Io non sono mai riuscito a farmene una colpa, una colpa dico mia, altre storie mi impediscono ora di rivedere il volto delicato.
Kali Papi, nonostante l’odiassi, riusciva spesso a stupirmi. C’eravamo trasferiti a Kota e quando arrivai nella sua casa per la prima volta, ad esempio, mi prese per mano e mi portò nella grande camera da letto, io cercavo con gli occhi, disperatamente, tutti i possibili angoli dove avrei potuto nascondermi. Quando la sua voce mi scosse
Hardeal Tu da stanotte dormi qua, io mi sistemo nell’altra stanza, sui cuscini…
Kali Lui allora lavorava in ferrovia. Faceva manutenzione tecnica. Usciva tutte le mattine presto, io lo sentivo uscire e tiravo un sospiro di sollievo. Nel caseggiato c’erano tante bambine della mia età, papi mi convinse a frequentarle e a giocare con loro. Piano piano riscoprii l’infanzia. Papi volle che riprendessi gli studi e ogni giorno alla fine del suo turno mi veniva a prendere a scuola, a casa c’era già il cibo pronto, io del resto non dovevo fare nulla, lui puliva, lui faceva la spesa, lui stirava. Io dovevo studiare e giocare. Mai, in quegli anni, mi chiese qualcosa di più…
Hardeal E cosa mai avrei potuto chiederle, era qualcosa di più di un fastidio, un qualcosa da rodermi dentro tutto il pensare, benché io l’amassi, di abusare di lei, anche se quella fottutissima superstizione religiosa del non aspettare oltre mi permetteva, anzi quasi mi obbligava a prenderla, soprattutto da quando non era più una bambina ma una splendida giovane signorina.
Kali Pian piano l’odio si stemperava, una specie di affetto verso papi si costruiva in me: la sua gentilezza, le sue cure, la sua pazienza. Una sera arrivò rabbuiato a casa. Gli chiesi che ci fosse; rispose
Hardeal È che… lascia perdere, come è andata oggi a scuola?
Kali In quegli stessi giorni ricevetti alcune lettere dai miei, in cui mi si chiedeva come mai non gli avevo ancora dato la gioia d’un nipote, forse che mio marito mi trascurasse? Richiusi la busta con cura e la rispedìi con scritto sulla busta “sconosciuta”. Non dissi nulla a papi…
Hardeal Ormai ero diventato lo zimbello dei colleghi alla stazione, “te la tieni in casa, ma che ci fai? Neppure un figlio dopo quattro anni!” Non ce la facevo più e un giorno…
Kali Un giorno Hardeal più rabbuiato che mai mi disse
Hardeal Non ce la faccio più, sto diventando lo zimbello di tutti. Ho deciso…
Kali Mise sul tavolo due biglietti d’aereo per l’Italia, domani partiamo
Hardeal Un compaesano, da anni in Italia, vicino a Milano, ci avrebbe ospitato per alcuni giorni. Avevo pagato poche rupie i documenti falsi per lei ancora minorenne.
Kali Poi ci saremmo sistemati, certo non riuscivo ad amarlo quel marito imposto, ma quegli anni in cui ero sempre stata rispettata, mai toccata, mi avevano persuasa a fidarmi di lui.
(buio)
SCENA TERZA
(luce su nodo tra i due attaccapanni, i personaggi in scena. Buio. Luce su Hardeal)
Hardeal Milano, vicino a Milano… Cologno.
Kali Casermoni, noi da piccoli villaggi vicino a Kota
Hardeal Smarriti, il mio compaesano Hiresh mi aveva, ci aveva trovato un piccolo locale, una specie di scantinato, in un palazzone di Cologno
Kali Una stanza triste, una finestra in alto da cui entrava poca luce. Un’unica stanza con dentro la cucina, accanto un cesso, sì, un cesso, come ho imparato a chiamarlo qui da voi. Ho avuto paura questa volta non di papi ma dell’ambiente in cui eravamo finiti.
Hardeal C’eravamo finiti perché stanchi dell’insistenza dei miei, dei suoi, a pretendere un nipote, e poi le risate dei miei colleghi dei quali ero diventato lo zimbello
Kali Ebbi paura
Hardeal Avemmo paura
(i due si avvicinano, giungono davanti al nodo, si abbracciano. Ritornano ai loro sgabelli)
Kali Quella notte, per la prima volta, feci sesso con papi
Hardeal Quella notte, per la prima volta, feci l’amore con Kali
Kali Poco dopo rimasi incinta. Poi nacque Chandana.
(Kali raccoglie da terra un abito rosa, da bimba, oppure qualsiasi altro oggetto che possa ricordare agli spettatori la nascita di una bambina. Lo appende all’attaccapanni da cui parte il foulard)
Kali Papi cercò lavoro, trovò lavoro. Faceva pulizie, lavorava tutto il giorno, ma trovava anche il tempo per lavare, stirare, fare la spesa e far da mangiare; spesso cambiava anche Chandana. Io ero trattata …
Hardeal …la mia regina. Avrei fatto qualunque cosa per lei. In quello scantinato ci stavamo stretti, cercai casa. Trovai casa, feci sacrifici. Due locali più cucina. Chandana cresceva.
Kali Chandana fu portata all’asilo. Più libera, cercai lavoro. Io continuavo a fare sesso con papi, papi continuava a fare l’amore con me. Trovai lavoro. Gli studi che mi aveva fatto fare papi in Rajasthan mi permisero di trovare proprio un impiego nell’asilo di Chandana.
Hardeal Sapevo, mi ero convinto, che a Kali non riusciva di amarmi, tutt’al più mi sopportava; lei con me faceva sesso, io con lei facevo l’amore. In casa entravano soldi, Kali continuò a lavorare in quel posto anche dopo che Chandana aveva lasciato l’asilo. Comprammo una piccola macchina. Portavo in piscina Chandana.
Kali Otto anni dopo Chandana nacque Iravat
(Kali raccoglie da terra un abito azzurro, da bimbo, oppure qualsiasi altro oggetto che possa ricordare agli spettatori la nascita di un bambino. Lo appende all’attaccapanni da cui parte il foulard)
Hardeal Due figli, una che studiava e uno che correva per casa. Kali che lavorava, io che facevo di tutto, pulizie, autista, cameriere, dovunque capitasse. I vicini ci volevano bene, ci facemmo amici. Dall’India i miei e i suoi ci facevano sapere che erano contenti.
(buio)
SCENA QUARTA
( La medesima scena ereditata dalla terza e quindi appesi all’attaccapanni di sinistra i due simboli per indicare la presenza di figli nella vita di coppia di Hardeal e Kali)
Hardeal Anche Iravat cominciò a frequentare le scuole elementari.
Kali Io più libera, Chandana si occupava del fratellino, lo andava a prendere a scuola.
Se c’era bisogno gli faceva fare anche i compiti. Io oltre all’asilo, trovai lavoro all’edicola della piazza vicino a casa, i due proprietari, vicini di casa, tanto gentili, erano vecchi, una vita a far levatacce e rientrare al buio a casa. Così dalle cinque alle otto chiesero a Hardeal se lui poteva dar loro una mano a seguir la chiusura.
Hardeal Quando ne parlai a casa, Kali disse subito che io non avrei potuto farcela
con tutti i servizi che facevo in città, lo avebbe fatto lei.
Kali Chandana è capace di badare a Iravat, non è per soldi, ma almeno faccio qualche altra cosa che guardare la televisione, e poi anche i soldi… magari ci compriamo una macchina un po’ più grande… che ne pensi papi…
Hardeal Fui contento, sapevo che non ero riuscito a farla innamorare e che mai ci sarei riuscito, avevo perso ogni speranza, in tal senso, ma andavamo d’accordo e i figli erano davvero una bella colla. Iravat e Chandana davano entrambi soddisfazioni. Lei continuava a far sesso con me e io a fare l’amore con lei.
Kali Ben presto ci comprammo una macchina nuova, più grande. Tutta la gente del quartiere ci stimava, eravamo integrati benissimo. Io col lavoro all’asilo avevo conosciuto centinaia di mamme, che quando andavo in giro per il quartiere conoscevo tutte o quasi, e poi, col lavoro all’edicola ancora di più.
Hardeal Agli occhi di tutti eravamo una gran bella famiglia, mai a nessuno avevamo raccontato la nostra storia, ce ne vergognavamo, io anche per lei
Kali Io, una volta, ne ho parlato. Hardeal non seppe nulla. Erano vent’anni che ci
eravamo sposati, che ci hanno sposati, che ci hanno sposati… la verità… tutti e due lo sapevamo, non lo avevamo dimenticato.
Hardeal La famiglia, agli occhi degli altri, sembrava filare sui binari della normalità, così tanto normale per gli altri che, quasi quasi, cominciavo a crederci anch’io nella normalità. Non ho mai capito cosa sia la normalità, non dico la normalità indiana, non dico la normalità italiana, dico la normalità normale, quella stupida che ci avvolge come ovatta, garza, delicatamente. Per me normale è la stanchezza fisica, sono i cambi di temperatura tra notte e giorno, col sole o con le nuvole, il cambio delle stagioni, questo è normale… magari è normale anche il cammello che passeggia qui sui binari. Da ragazzo pensavo che la normalità sarebbe stata la fine di ogni rapporto, di ogni unione. Invece sono giunto a sperare che anche il nostro matrimonio fosse nella normalità. Un matrimonio normale uscito dalla normalità di normali storie di credo e superstizioni.
Kali Mi sembrò normale parlarne con Monica, la madre di uno dei tanti bambini dell’asilo. Era il quarto bimbo che le cambiavo e vestivo. Eravamo diventate amiche. Una domenica al parco, Hardeal era stato chiamato da amici per dare una mano a far trasloco… I bambini giocavano assieme, lei raccontò di suo marito, che spesso le sembrava pensieroso e assente… io non la ascoltavo, ma sentivo venirmi su da dentro la storia mia e di papi, vent’anni di storia che mi girava dentro, arrivò alla bocca… uscì. Monica mi chiese “Non sai cosa è l’amore?” “No” risposi a bassa voce…
(buio)
SCENA QUINTA
( idem)
Hardeal Tutto normale. Avevo ripreso a cucinare io, la sera, per cena. Kali continuava a lavorare in edicola. Mattina e primo pomeriggio asilo, tardo pomeriggio edicola. Chiudeva tardi. Ai primi tempi alle otto e dieci, otto e un quarto era a casa e si metteva ai fornelli… ma il lavoro andava bene e i due vicini di casa, i proprietari, le avevano chiesto di chiudere un poco più tardi… un poco così, per attendere l’ultima grande sfornata di quelli che arrivavano da Milano in metrò. Me l’aveva detto Kali… bene… io ero contento… tutto era normale, la normalità aveva teso le sue reti ed entrambi c’eravamo cascati…
Kali Tutto normale… o quasi. Una sera mentre chiudevo, ero lì inchinata sui cassoni dei giornali di resa. Mi si avvicina uno e mi chiede se potevo ancora vendergli una rivista. Una rivista d’auto, ricordo bene…
Hardeal Col lavoro di tutti e due, avevamo messo via un po’ di soldi, ben più del necessario per esaudire il nostro, credo nostro, sicuramente il mio sogno, andare tutti e quattro in Rajasthan, per far vedere Chandana e Iravat ai nonni, io orami li avevo perdonati da un pezzo… Chiesi dunque a Kali se volesse smettere almeno uno dei due lavori, la vedevo stanca, anche se mi sembrava felice, spesso le spuntava sulle labbra un sorriso che non le conoscevo. Io di ciò ero felice…
Kali No, in Rajasthan non ci volevo andare, i miei non li ho mai perdonati e credo che mai lo farò e poi… poi il lavoro mi distrae… Certo papi non mi metteva più la paura, il terrore, dei primi giorni, con me sempre buono, paziente…, ma per me rimaneva sempre un papi. Con Giorgio fu diverso. Erano sei mesi che ci frequentavamo, sì Giorgio, quello della rivista d’auto, il fratello di Monica. Quando l’ho visto per la prima volta, quando ero chinata a chiudere i cassoni dei giornali di resa e mi sono girata, ho subito avuto un tuffo al cuore… era la prima volta che lo provavo. E ho continuato a sentirlo. Ci siamo messi assieme, ho fatto all’amore, per la prima volta dopo tanti anni e due figli ormai quasi grandi…
Hardeal Chandana compì diciotto anni, ci aveva chiesto di far festa come le sue compagne di liceo, le avevo promesso, le avevamo promesso di portarla fuori a cena, anche quella sera Kali fece tardi, più tardi del solito, mandò tutto in rovina, Chandana ci rimase male. Aveva dovuto lavorare fino a tardi perché quella sera la metropolitana continuava a vomitare gente, che voleva giornali… abbracciò Chandana e le chiese scusa…
Kali Tutta presa da Giorgio, mi ero scordata della festa per Chandana, quando me ne ricordai, scappai di fretta a casa, Giorgio non voleva lasciarmi andare, scappai, ma ormai era troppo tardi, dissi del troppo lavoro e chiesi scusa a Chandana e a papi…
Hardeal Dopo la festa per Chandana andata a monte, Chandana sempre col muso, Kali, come se nulla fosse successo, riprese ad essere allegra e sorridente; una settimana dopo la festa andata a monte… sì circa una settimana dopo, mi salta improvvisamente un lavoro di pulizie. Non avevo voglia di girare a vuoto per Milano, mi infilo in metropolitana, torno a Cologno. È presto per tornare a casa, penso di fare una sorpresa a Kali. Vado a prenderla in edicola. L’edicola è chiusa, non erano neppure le sette. Si sarà sentita male la mia Kali, affretto il passo e torno a casa. A casa Chandana e Iravat sono felici di vedermi, potremo giocare assieme in attesa della mamma, Kali non c’è. Tornò dopo le nove, un pezzo dopo le nove. Mi ricordo disse:
Kali Mai tanto traffico come stasera, sembrava che avessero raddoppiato il numero dei treni, mi misi al tavolo sorridente e mangiai quello che papi aveva preparato con l’aiuto di Chandana e Iravat…
Hardeal Due giorni dopo mi diedi malato, alle cinque meno qualcosa, vidi arrivare all’edicola Kali, la cosa mi tranquillizzò… fu per poco… dopo una mezz’ora, io me ne stavo nell’ombra del porticato della piazza, ben nascosto, arrivò una macchina bella, parcheggiò… scese un giovane, bello, si recò all’edicola… subito Kali uscì… lui l’aiutò a tirar giù la serranda… si baciarono… e subito si infilarono in macchina… Non capii più nulla, mi infilai nel bar della piazza, proprio alle mie spalle, bevvi tre sambuche a fila, una, due, tre e giù, era la prima volta che bevevo alcoolici. Tornai a casa, all’ora consueta, i figli si accorsero che qualcosa non andava, dissi che mi girava la testa… la stanchezza a star lì a lavare pavimenti tutto il giorno… Lei rincasò poco prima delle dieci… io…
(Hardeal si alza dallo sgabello. Avanza al proscenio… Kali rimane seduta. Hardeal alza un braccio come se volesse schiaffeggiare l’aria, nel frattempo:)
Hardeal (urlando) Io…
(buio. Velocissimo cambio scena. Luce. Sullo sgabello di destra Hardeal seduto, il capo tra le mani. Lo sgabello di Kali è vuoto. Il nodo tra i due attaccapanni è sciolto. Buio)
SCENA SESTA
(Sullo sgabello di destra, come di consueto Hardeal, Kali non è più in scena, il suo sgabello è vuoto, dai due attaccapanni pendono, assieme ai simboli dei figli,il foulard e la sciarpa non più annodati)
Hardeal Che pezzo di merda, alzare le mani sopra la mia, la mia dolcissima Kali, la mia amatissima Kali. Me lo ripeto ancora adesso, un pezzo di merda. Io che la picchio, Iravat che si nasconde sotto il tavolo, Chandana che si mette in mezzo e urla. Lo sento ancora quell’urlo. Kali che cade, mi sembrò avesse battuto la testa, scompaiono le tre sambuche. Con Chandana, la solleviamo. Ha perso i sensi. Con Chandana la carichiamo in ascensore, Iravat ha gli occhi pieni di lacrime, dall’ascensore alla macchina nuova, la dannatissima macchina nuova. L’avevamo presa per essere comodi se mai avessimo voluto fare lunghi viaggi. Ora la uso per portare Kali al pronto soccorso. Arrivati, la metto sulla carrozzella. Già in macchina si era ripresa. Ci chiedono cosa è successo. Kali non parla e neppure Chandana. Io dico “l’ho picchiata io”. Gli infermieri portano via Kali, Chandana li segue. Le vidi sparire dietro i vetri smerigliati, sfumare, non le ho più viste. Mi viene incontro un infermiere con due poliziotti. Mi fanno sedere su una panca di ferro, i due poliziotti, uno per lato, l’infermiere se ne va… Ricordo ancora il gelo di quella panca di ferro. Ripeto “l’ho picchiata io” perché? Perché sono un pezzo di merda. E me ne vergogno. “Dicono tutti così” mi dicono i poliziotti. “poi chiedono scusa, lei li perdona e loro la ripicchiano, siete tutti pezzi di merda”. Perché star lì a spiegare loro, che già in macchina, con Chandana e Kali dietro, verso il pronto soccorso, avevo deciso che non avrei più messo piede in quella casa. Non avrei più visto il suo viso, il suo dolce viso. Fui subito sicuro che, a costo di grandissimi fatica e sacrificio, non avrei avuto più il coraggio di vedere il suo viso anche nel ricordo. L’avrei cancellato dalla memoria. Non mi sentivo degno di rivedere il suo dolce viso neppure nella sfumata, fragile, immagine del ricordo. Automaticamente scatta la denuncia. Mi dicono i poliziotti che finché sarò chiamato dal giudice non dovrò più mettere piede in casa, loro lo verrebbero a sapere, Kali sarebbe stata seguita e tenuta d’occhio giorno e notte. Telefonai al mio compaesano, quello che ci aveva accolto la prima volta a Cologno. Mi trasferìi per un paio di giorni in quello stesso scantinato. Prelevai dalla banca poco più del necessario per il mio viaggio di ritorno in India. Una volta in Rajasthan, a Kota, trovai subito una sistemazione di fortuna. Non dissi nulla e stetti alla larga, sto alla larga, dai miei genitori e dai miei suoceri. Li ritengo ancora corresponsabili di tutto quanto successo e dietro a loro quelle maledettissime superstizioni religiose. Poco dopo ho trovato lavoro in ferrovia. Sono quasi due anni che mi trovo qui, e mi tuffo sempre più nel lavoro per non pensare a Kali. Io e Chandana ci scambiamo spesso email. Quando so che dovrebbe arrivarne una vado all’Internet point, che è lì in stazione, io non ho il computer, scarico e stampo la lettera di Chandana, che leggo con calma sul treno, nelle pause del lavoro, tra una stazione e l’altra. Mi ha fatto male ricordare… tutta colpa di un cammello.
(Hardeal fruga nella tasca, estrae un foglio da cui comincia leggere)
Caro papà, io e Iravat stiamo bene, io mi sono
(da sinistra entra Chandana che, accanto allo sgabello vuoto, in piedi legge)
Chandana fidanzata, è un bravo ragazzo, mi spiace che tu non possa vederlo. Ti manderò una foto nella prossima mail. Ma, se mai tu pensassi di tornare indietro, mi piacerebbe proprio; il fatto che tu te ne sia andato da casa spontaneamente e non sia più tornato, ti ha reso non più perseguibile. Mamma, da quando si è messa con Giorgio, è sempre più innamorata. Diventa una furia quando le dico che Giorgio mi piace sempre meno. Mamma non lavora più. Ti avevo già detto che aveva lasciato l’edicola perché si diceva stanca, poi ho saputo che era Giorgio che non voleva che conoscesse nuovi uomini. Giorgio è geloso di ogni minima cosa che fa mamma. E così mamma ha perso anche il lavoro all’asilo. L’hanno mandata via non perché non facesse bene il suo lavoro, ma perché Giorgio andava lì all’asilo e faceva sceneggiate con la direttrice, le educatrici e le mamme. Le faceva ogni volta che la mamma si attardava a cambiare un bimbo qualche minuto dopo l’orario d’uscita. Lui entrava e faceva urlate con tutti, per questo l’hanno mandata via. Lui gira tutto il giorno per casa, qualche volta fa qualche lavoretto stupido, stupido, forse anche sporco. Monica, ti ricordi, la sorella, gli dà qualcosa. Ma è soprattutto la mamma ad aiutarlo, coi soldi che ci hai lasciato tu. Spesso, quando sono chiusi nella stanza, lo sento gridare, poi, spesso, vedo uscire la mamma che piange; un paio di volte l’ho vista con dei lividi, ma non posso dirle nulla, basta che lui chieda scusa e prometta, che lei è lì a pendergli dalle labbra. La mamma dice che tu eri buono, ma lei questo lo ama davvero. Non capisce davvero più nulla…
(Chandana esce e Hardeal, rimasto solo in scena, continua a leggere senza interruzioni la lettera della figlia)
Hardeal … nemmeno quando le ho detto che Giorgio ci aveva provato anche con me: mi ha detto che ero pazza, minacciandomi di buttarmi fuori di casa. A costo di andar fuori di casa e magari raggiungerti, io oggi l’ho denunciato. Ti abbraccio. Chandana
(Hardeal appallottola il foglio e se lo lascia scivolare dalla mano. Prende il capo tra le mani. Si ode un forte fischio di treno, Hardeal guarda dal finestrino)
Hardeal Ah, finalmente, il cammello si è stancato di far la passerella sui miei binari!
(Hardeal si alza, si china dietro lo sgabello, indossa l’espositore dei biglietti)
Hardeal Biglietti, signori… biglietti
(Si avvicina al proscenio, prende a calci la lettera appallottolata, scende tra il pubblico, sventolando biglietti colorati e ripetendo:)
Hardeal Biglietti, signori… biglietti
(Buio in scena, luci in sala)